Visionario e pragmatico. Integralista di libertà e laicità

di Massimo Teodori
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Venerdì 20 Maggio 2016, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 17:43
Conosco Pannella dal lontano 1953. Con i giovani liberali di sinistra di cui Marco era l’indubbio leader ho partecipato alla fondazione del primo Partito radicale di Mario Pannunzio. E, otto anni più tardi, alla rifondazione del nuovo Pr che aveva proprio in Pannella l’indomito animatore. La mia commozione è inesprimibile a parole per avere vissuto un rapporto di vicinanza - e di distacco - che ha segnato oltre mezzo secolo di comuni passioni laiche, liberali e radicali. Questa premessa può apparire pretestuosa ma si rende necessaria per dare un senso a quel che ho a lungo meditato sul significato e il valore dell’uomo, della sua politica e del suo contributo alla storia della Repubblica.

A me pare che la parte più significativa del Pannella laico e liberale che incarna un ruolo centrale nella civitas repubblicana si dipani nel trentennio che va dagli anni Sessanta agli anni Ottanta quando si realizzano le maggiori riforme associate ai radicali. Risollevò le bandiere della libertà e della laicità che erano state abbandonate in un vetusto deposito tradizionale e ne fece strumenti di politica viva volta ad ottenere riforme legislative nel campo di quei diritti individuali che le chiese cattolica e comunista avevano sempre disprezzato ed avvilito. La sua intuizione, che allora appariva spregiudicata ma che in realtà era profetica, fu che il comune sentire di buona parte degli italiani, compresi gli elettori cattolici e comunisti, era molto più maturo di quello dei dirigenti dei rispettivi partiti.

Il Partito radicale era allora aperto, pluralistico, antidogmatico, davvero laico nel senso profondo del termine, e perciò rappresentava l’espressione più moderna e dinamica della società in trasformazione. L’orchestra radicale che disponeva di tanti accordi diversi di ottima qualità era in grado di suonare ineguagliabili romanze politiche che colpivano il vasto pubblico proprio grazie alla direzione del maestro Pannella. Non è un caso che tutte le rievocazioni del radicalismo del dopoguerra puntino sulle riforme di quegli anni: divorzio, aborto, giustizia giusta, diritti civili, laicità e separazione tra Stato e Chiesa, legalizzazioni versus proibizionismi. In sostanza, il Partito radicale, nonostante l’esiguità del voto, divenne una grande forza che lasciò una traccia indelebile nella modernizzazione ed europeizzazione del Paese. Con gli anni ’90 e la crisi della “prima” Repubblica il clima cambiò anche tra i radicali di Pannella.

 

Il Partito radicale della rosa nel pugno fu sciolto d’autorità e nacquero le “liste Pannella” e “Bonino-Pannella” che cercarono accordi nel centro-destra e nel centro-sinistra. Certo, Pannella era sempre lo stesso, ma il suo interesse a battaglie capaci di incidere sulla trasformazione civile del Paese andarono diminuendo a favore dell’evocazione di grandi temi dai contorni sfumati: la fame nel mondo, la transnazionalità che non ebbe mai alcun riscontro, il diritto alla conoscenza, la transizione verso lo Stato di diritto con il contributo degli islamici… Nel frattempo l’assenza radicale dai grandi temi della politica italiana lasciava il Paese orfano di qualsiasi forza democratico-laico-riformatrice come lo era stato il PR della stagione precedente. Gli strumenti principali di Pannella e del suo gruppo ristretto divennero gli scioperi della fame e della sete a ripetizione nel quadro della nonviolenza e la proposizione continua di referendum che quasi mai andarono in porto.

E quel Pannella che era stato vilipeso quando era un’alternativa politica liberale all’Italia del compromesso storico e veniva considerato un pericolo per il conformismo cattocomunista, cominciò finalmente ad essere consacrato come un grande della Repubblica da San Pietro al Quirinale.
E grande della Repubblica Pannella lo è davvero stato fino in fondo. Ma forse in un’Italia sempre più povera di qualità politica e di buongoverno, e con una società sempre più distante dal tran tran partitico, il leader che ci mancherà, avrebbe potuto giocare per le sorti del Paese una funzione ben più importante di quella di testimonianza individuale che rischia di rimanere l’imprinting pannelliano da tutti ricordato.
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