La scommessa sulla Terza Repubblica e il Pd al bivio

di Massimo Teodori
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Mercoledì 22 Giugno 2016, 00:01
La sconfitta nei ballottaggi del Partito democratico richiede una riflessione sulla maggiore forza politica italiana. Perché Matteo Renzi è al governo di tutti gli italiani, perché il Pd è maggioritario nell’attuale democrazia rappresentativa, e perché il suo gruppo regge il timone di un Paese che deve affrontare le difficoltà interne e i sommovimenti internazionali dell’Unione Europea, dell’immigrazione e del terrorismo islamista.

A tutti, non importa se simpatizzanti o antipatizzanti, deve interessare quel che il Partito democratico e il suo leader faranno nel prossimo futuro con le relative ripercussioni sull’intera scena italiana. Cerchiamo perciò di capire quali sono i segnali profondi inviati dalle elezioni amministrative che hanno sconvolto gli equilibri tradizionali ed hanno annunciato altre trasformazioni politiche e sociali. 

È indubbio che nei due anni al potere Renzi ha provocato un terremoto nel suo partito: un terremoto che forse ha influito sulla sconfitta ai ballottaggi del 19 giugno mettendo in rilievo le luci e le ombre della nuova politica. Al giovane toscano va senz’altro riconosciuto il merito di avere smantellato le incrostazioni comuniste, di avere “rottamato” gran parte della classe dirigente che sostanziava la vecchia “ditta” del Pci, e di avere affrontato con decisione i pesanti condizionamenti sindacali. 

Sull’altra faccia del bilancio renziano va messo il limite - proprio mentre innovava - di non avere dato vita a un Partito democratico inclusivo e pluralistico, come è nella tradizione dei grandi partiti europei, e di essersi affidato a un ristretto gruppo senza aver allargato a una leva competente di personale dall’ampia visione nazionale e internazionale. 

Questo non significa affatto che la sconfitta democratica a Roma e a Torino sia responsabilità del presidente del Consiglio, anche se non si può ignorare che l’affossamento di Giachetti a Roma, ritenuto a torto “uomo” del presidente, e il tramonto di Fassino a Torino, siano stati interpretati come una rivincita generalizzata contro il “partito di Renzi”, considerato inadeguato a rappresentare la novità riformatrice aperta al centro oltre che alla stessa sinistra. 

Le elezioni comunali hanno così segnato la fine della cosiddetta “Seconda repubblica” mai nata perché priva di quelle trasformazioni istituzionali che indicano la successione delle repubbliche (come in Francia). Con essa è anche entrato in crisi il bipolarismo e l’alternanza che di fatto sono stati la migliore conquista del passato ventennio. Al bipolarismo sembra ora sostituirsi un tripolarismo composto da centrosinistra, centrodestra e Movimento 5 Stelle. 

Ma nonostante il nuovo orizzonte tripolare, al momento non si intravede alcuna “Terza repubblica” che, forse, potrà cominciare a delinearsi con la riforma costituzionale proposta da Renzi. L’interrogativo che tuttavia i democratici devono porsi è se in vista di una scadenza così importante, il referendum costituzionale debba essere personalizzato come il giudizio di Dio sul premier, o se invece non sia più opportuno farne uno strumento di unità e di inclusioni di tutti i riformatori italiani, indipendentemente dal governo, magari dando spazio a una revisione della legge elettorale, maggioritaria sì ma più garantista nel gioco complessivo delle istituzioni. 

Per ora non si possono ignorare le dimensioni clamorose che hanno assunto alcune realtà politico-elettorali: il crescente astensionismo che ormai ha superato la soglia dell’allarme; la proliferazione delle liste civiche che fanno da calamita per il malaffare camuffato da impegno politico, e il voto per i 5 Stelle che riscuote tanto più successo laddove maggiore è il deterioramento del Partito democratico. 

Renzi, dopo avere ammesso la sconfitta nei ballottaggi senza ricorrere ai giri di parole tipici del vecchio gergo politico, ha dichiarato che il Pd deve rivedere la situazione e riflettere sul da farsi. Vedremo se questa presa d’atto del messaggio rivolto alla politica, e in particolare ai democratici, sarà colto con decisione, intelligenza e capacità di rinnovamento. Noi ce lo auguriamo perché l’Italia, come non mai, ha bisogno di avere una politica più forte e maggiormente capace di dare risposte ai problemi reali senza guardare troppo al proprio ombelico. 
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