Se la malattia non viene curata

di Massimo Teodori
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Martedì 7 Giugno 2016, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 00:11

È vero che in Europa (e in America) spira il vento dell’antipolitica a danno dei partiti tradizionali. Ma sarebbe un escamotage attribuire il successo grillino alla generica tendenza anti-migranti diffusa oltralpe. Ogni fenomeno politico ha caratteristiche sue proprie che vanno analizzate, e così si deve fare per l’ondata elettorale del Movimento 5 stelle che quasi ovunque in Italia ha destabilizzato i partiti del centrosinistra e del centrodestra, particolarmente a Roma. 
 
Il voto ai pentastellati non ha premiato né la qualità dei candidati sindaci, né le loro proposte per le amministrazioni locali. A Roma, come e più che altrove, gli elettori si sono rifugiati in una scelta, per quanto densa di incognite, indirizzata ad esprimere il disagio della vita quotidiana nella città e l’avversione a lungo repressa contro gli amministratori che non sono stati in grado di garantire il buongoverno. 
Si è trattato, dunque, di un voto rivelatore dello scontento che pervade gran parte dei cittadini, quasi un termometro sociale che indica il superamento del grado di sopportazione per la cattiva amministrazione. Sono così passati in silenzio l’inesperienza della candidata sindaco e le ingenue proclamazioni di onestà e legalità che, nel caso di elezione in Campidoglio, saranno messe alla dura prova della responsabilità pubblica che necessita competenza e fermezza al di là delle buone intenzioni. 
Il voto di Roma è tuttavia la punta di un fenomeno politico-elettorale più generale che sarebbe imprudente sottovalutare. Di fronte al clima di incertezza alimentato dalla situazione economica, dai vincoli europei e dalle ondate di migranti, in molti prevale la ricerca della novità piuttosto che la tutela della stabilità politica. Se finora le cose sono andate in maniera insoddisfacente - pensano in molti -, tanto vale provare qualcosa di nuovo come il movimento dei grillini prima che svaniscano gli ingenui entusiasmi di una forza politica che passa dalle proclamazioni alle responsabilità di governo. 
All’inizio Matteo Renzi rappresentava una novità carica di entusiasmo, se pur intriso di una certa provinciale improvvisazione. La sua foga di rottamatore, indirizzata a quel mastodonte che era il partito già comunista, piaceva a quanti non ne potevano più di una sinistra aggrappata al potere locale. Il presidente del Consiglio fu premiato alle elezioni europee grazie al fatto di essere l’homo novus che non aveva rispetto per i vecchi gestori di partito. Oggi, diversamente da allora, lo stesso Renzi è percepito come un politico il cui richiamo alla stabilità serve soprattutto alla propria stabilizzazione. Distrutta la “vecchia Ditta”, avanza il sospetto che stia nascendo una “nuova Ditta”, diversa ma parallela alla precedente. 
Un altro motivo del successo grillino va individuato nella fine di quel bipolarismo che, bene o male, ha retto per una ventina di anni. Come tutti gli equilibri bipolari, le due parti della mela si tengono reciprocamente e cadono insieme. La Dc è finita quando è crollato il comunismo. Il berlusconismo ha avuto successo quando si è contrapposto all’antiberlusconismo che, a sua volta, si è nutrito della polemica contro il Cavaliere. Oggi, il disfacimento della coalizione di centro-destra è la premessa dell’indebolimento del centro-sinistra. Il Partito democratico che in apparenza si ingrossa di gruppi che cercano di salire da destra e da sinistra sul carro del vincitore, in realtà è logorato dalle difficoltà del potere. Al bipolarismo si va sostituendo un tripolarismo, preludio a un equilibrio a due, forse del tutto nuovo.
Ultima, ma non minore causa dell’insuccesso del Pd, è stata forse l’overdose sul referendum proprio mentre si sceglieva la classe dirigente e i progetti di governo delle nostre città; in primo luogo, del gioiello Roma che rischia di finire in chissà quali mani.
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