Camera, super stipendi giù. E scatta lo sciopero bianco

Camera, super stipendi giù. E scatta lo sciopero bianco
di Diodato Pirone
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Lunedì 11 Gennaio 2016, 08:31 - Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 09:15
Tecnicamente si tratta di uno stato d’agitazione. In pratica è una sorta di sciopero bianco con tanto di blocco degli straordinari e lavorazioni al rallenty. Sia come sia, oggi, quando di fatto i deputati riprendono i loro lavori, la Camera riapre i battenti con i suoi quasi 1.500 dipendenti in lotta per la difesa dei loro salari.
La goccia che ha fatto traboccare il malcontento sindacale a Montecitorio è stata la sentenza definitiva - emessa in semiclandestinità il 23 dicembre della ”Corte d’appello” interna della Camera sulle cause del lavoro - che ha consacrato la validità dei tagli agli stipendi di circa 1.000 lavoratori di Montecitorio varati a inizio 2015. Insomma ora nulla può fermare la scure che - sia pure con graduali colpi annuali - entro il 2018 ridimensionerà i supestipendi della Camera. 

I NUOVI LIMITI
E così un barbiere di Montecitorio fra due anni non potrà superare quota 99.000 euro lordi annui a (contro il tetto di 136.120 raggiungibili precedentemente con 40 anni di contributi) così come un ragioniere o un archivista con supereranno i 166.000 euro lordi annui, sempre dal 2018, rispetto ai teorici 238.000 previsti dalle vecchie regole. 
Il taglio c’è, per carità. Anche se vale la pena ricordare che 99.000 euro lordi corrispondono per un contribuente residente nel Lazio (con relativa superaddizionale regionale) a 4.577,72 euro netti per 13 mensilità, mentre i 166.000 euro dei ragionieri che hanno vinto il concorso per la Camera equivalgono a 7.307,71 euro netti mensili, sempre moltiplicato per 13.

Ma, si sa, i guai non arrivano mai da soli. E infatti con lo stato di agitazione gli 11 (undici) sindacati dei lavoratori della Camera intendono protestare contro una seconda intemerata della presidenza di Montecitorio che governa il personale attraverso la commissione presieduta dalla vicepresidente Marina Sereni: ovvero la decisione di prorogare anche nel 2016 uno dei tagli che erano scattati in fretta e furia nel 2010/2011. Allora, di fronte alla più grave crisi economica del Dopoguerra (ricordate lo spread a 575 punti?), la Camera aveva deciso di bloccare per quattro anni alcuni aumenti automatici di indennità. 

L’ulteriore proroga del blocco degli aumenti consentirà a Montecitorio di risparmiare quest’anno altri due milioni di euro. Spiccioli di fronte ad una spesa per il personale pari a 240 milioni (mediamente oltre 150.000 euro per dipendente) che si aggiungono ad altri 266 milioni sotto forma di pensioni. Complessivamente gli attuali e gli ex lavoratori della Camera assorbono ben 506 milioni, ovvero il 53,7% dei 943 milioni che gli italiani tramite il Tesoro versano alla Camera. 

Si tratta - in proporzione all’esiguità delle persone coinvolte - di cifre enormi. Anzi, paradossali. Perchè molto superiori alle risorse destinate ai deputati e agli ex deputati. I politici assorbono in tutto 227 milioni (81 di stipendi e 146 di pensioni).
La protesta sindacale dei 1.500 lavoratori della Camera si nutre poi di lamentele nate da altri dolorosi interventi. Dal primo gennaio di quest’anno, ad esempio, anche a Montecitorio così come in decine di migliaia di aziende, pubbliche e private, non sarà più possibile monetizzare le ferie. 

Eh già. Perché finora è accaduto che molti lavoratori della Camera erano costretti - per ragioni di servizio - a tagliare il traguardo del mitico giorno della pensione con parecchi giorni di ferie non usufruite. Moltissimi i casi. Spesso per centinaia di giorni. Che moltiplicati per valori che continuano ad oscillare fra i 250 e i 1.000 euro lordi al giorno possono lievitare da soli fino all’equivalente di un miniappartamento.

PASSAGGI STRATEGICI
Dal 2016 è saltata anche questa maglia della fittissima ”rete di protezione” che questa nicchia ultraprivilegiata della pubblica amministrazione spesso si è costruita su se stessa.
E il bello è che altri interventi sono in arrivo. Domani, tanto per battere il ferro finché è caldo, le presidenze della Camera e del Senato si incontreranno per iniziare a discutere dell’unificazione delle due loro super-burocrazie. Il segnale è molto importante. Non si tratta solo di risparmiare qualcosa e di limare evidenti duplicazioni. Il fatto è che nei prossimi mesi decollerà la riforma della Pubblica amministrazione e la burocrazia d’élite del Parlamento ha l’occasione per tornare ad essere uno dei punti di riferimento di un processo che sarà molto complicato.

Non solo. Ad aprile la Corte Costituzionale dovrebbe emettere un’attesa sentenza sull’abolizione dell’autodichìa, ovvero quel regime giuridico che assegna la totale autonomia agli organi costituzionali (dal Quirinale ai consigli regionali) che possono autodeterminarsi il bilancio e le regole di gestione del personale e li esclude dai controlli di altri organismi. Passaggi strategici, che lasciano allo stato d’agitazione l’amaro sapore degli autogoal.
 
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