Quanto è difficile difendere l’identità italiana dai detrattori

di Marco Gervasoni
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Martedì 10 Ottobre 2017, 00:05
Che cosa hanno in comune l’ormai stucchevole feuilleton su Cesare Battisti, la ridicola campagna contro i «monumenti fascisti» e la marcia del Columbus Day tenutasi ieri a New York? Almeno un elemento: la catastrofica capacità italiana di farsi del male da soli, di denigrarsi, di svilire la propria storia.

Andiamo per ordine. Il caso Battisti che, fosse stato cittadino francese, statunitense o inglese, languirebbe da tempo nelle rispettive galere, possiede due risvolti. L’incapacità delle autorità italiane di imporsi a governi pure diplomaticamente amici; nel caso specifico, prima la Francia e poi il Brasile non si sono certo prodigati per affrettare le pratiche di estradizione, celandosi dietro un’autonomia della magistratura che, nel caso francese, è una simpatica boutade, visto che oltralpe i magistrati dipendono dal governo.

Ma la debolezza dei vari esecutivi, di centrodestra e di centrosinistra, è stata poi ingigantita dagli ignobili appelli degli intellettuali pro-Battisti, francesi convinti che l’Italia degli anni Settanta stesse sotto il tallone di un regime cileno e che quindi Battisti fosse un «perseguitato».

Ignoranza non proprio giustificabile in uomini di lettere ma aggravata dal supporto di intellettuali italiani che, loro, invece, sapevano benissimo quanto l’Italia degli anni di piombo fosse una democrazia sotto attacco.
Sotto attacco anche da parte di gente come Battisti. Ma ciò non gli ha impedito e non gli impedisce ancora oggi di diffondere menzogne, animati dall’unico loro forte sentimento: l’odio verso il proprio paese e verso gli italiani. Un fenomeno antico nella storia degli intellettuali italiani che un nostro grande connazionale, Antonio Gramsci, definì a suo tempo “cosmopolitismo”.

Credere cioè che la cultura, i costumi, i modi delle altre nazioni siano più avanzati, più aperti, più ricchi, di quelli italiani: e inseguirne le mode e i vezzi, spesso in maniera asinina. Come in maniera asinina alcuni si sono entusiasmati perché pure la cultura radical-chic della Grande Mela ha sposato la demenziale causa della denuncia (dell’abbattimento?) dei cosiddetti monumenti fascisti.

Che poi Ruth Ben-Ghiat, l’autrice dell’articolo del New Yorker su cui Marco Ventura si è soffermato ieri su queste colonne, cattedra alla New York University, non sia esattamente una Renzo De Felice, ma studiosa assai più modesta, non ha impedito ai soliti noti di plaudire alle sue affermazioni decisamente discutibili.

Nell’articolo del New Yorker c’è però qualcosa in più: soffermandosi a lungo su Silvio Berlusconi che, fino a prova contraria, non ha mai costruito monumenti e soprattutto ha esercitato il potere democraticamente, la rivista dimostra come persista nella cultura anglosassone un larvato disprezzo nei confronti del popolo italiano; considerato sempre immaturo, “familista amorale”, in buona sostanza cialtrone, una psicologia che avrebbe prodotto prima Mussolini, poi Berlusconi, e oggi Grillo. Non a caso gli intellettuali pro-Battisti imploravano la Francia di non «consegnare» il loro eroe all’«Italia di Berlusconi». Mentre ieri Andrea Camilleri pontificava «siamo un popolo di razzisti».

E il Columbus Day? Di fronte alle pressioni dell’estrema sinistra americana per abbattere le statue di Colombo, gli italo-americani si sono levati in una corale, accorata, potente difesa. Hanno ricordato quanto, decenni fa, fosse il Ku Klux Klan a protestare contro Colombo simbolo degli italiani, etnia inferiore. E, come ha scritto ieri un giornalista italo-americano, Angelo DeCarlo sul Wall Street Journal, essi sanno che attaccarsi a Colombo vuol dire non solo aggredire la storia italiana ma distruggere la tradizione occidentale.

Dovremmo, noi italiani, che la patria non l’abbiamo lontana, imparare da loro a difendere la nostra storia. Al di là delle appartenenze e delle ideologie politiche. E quindi ripetere: Battisti deve scontare la pena in Italia, il governo brasiliano non può nascondersi dietro motivazioni ridicole e quello italiano è obbligato ad alzare la voce. E ribadire che no, l’Eur, le piazze di Latina, Sabaudia, Pontinia, gli affreschi di Sironi, il Foro italico e persino l’obelisco con la scritta Dux non vanno toccati: ma capiti e studiati, quindi protetti.
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