Gb, giudice impedisce a un padre di portare il figlio in Chiesa dopo la richiesta della madre musulmana

Gb, giudice impedisce a un padre di portare il figlio in Chiesa dopo la richiesta della madre musulmana
di Federica Macagnone
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Martedì 29 Marzo 2016, 14:30 - Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 11:32
Se c'è una sentenza destinata a far discutere e alimentare polemiche è quella emessa all'inizio del mese dal giudice distrettuale Williscroft della Derby County Court, in Gran Bretagna. Accogliendo un'istanza presentata da una madre musulmana divorziata, ha vietato all'ex marito della donna di portare il figlio di nove anni in chiese o centri ricreativi cristiani: se violerà l'ordine, gli sarà impedito di vedere il piccolo. Come riporta il Daily Mail, l'uomo, un musulmano non praticante nato in Inghilterra da genitori pakistani, la scorsa settimana ha presentato ricorso alla Corte Suprema per ribaltare la sentenza.

«Questo giudice ha semplicemente paura di essere bollato come islamofobico - dice l'uomo, che ha stretto forti relazioni con la comunità cristiana locale - Io voglio solo che mio figlio abbia una vita equilibrata e possa entrare in contatto con diverse fedi per potersi formare una propria idea e seguire la religione che preferisce, mentre la mia ex moglie, che lo sta indirizzando verso la fede musulmana, teme che, conoscendo altre religioni, possa "confondersi". Lo sta indottrinando, e l'unico modo che ho di fargli conoscere altre realtà è portarlo in altri ambienti. Se non gli mostro altri stili di vita, crescerà come una pecora muta: invece voglio che conosca culture diverse». 

«Mio figlio sta subendo un vero e proprio lavaggio del cervello - prosegue l'uomo - Già mi dice che ho un cuore nero e che sono un uomo cattivo perché non sono un musulmano praticante. Lo stanno crescendo dicendogli le stesse bugie che dicevano a me quando ero piccolo, e mi si spezza il cuore pensando che non posso fargli fare le stesse attività che qui fanno tanti bambini della sua età. Questo giudice era così preoccupato dal mostrarsi politicamente corretto che ha totalmente ignorato tutto il resto, a partire dal fatto che io sono un padre amorevole. Sono terrorizzato all'idea che mio figlio non voglia più vedermi a causa di tutto questo indottrinamento». 

La svolta. L'uomo e la sua ex-moglie, che non possono essere nominati per motivi legali legati all'identificazione del bimbo, si sposarono nel 2003, conducendo per alcuni anni uno stile di vita occidentale. «È stato fondamentale per me - dice l'uomo - vista la rigida educazione religiosa che avevo ricevuto. Mi avevano insegnato che i cristiani erano immorali e senza cuore, che solo i musulmani hanno una fede pacifica e che tutti gli altri sono l'incarnazione del male. Solo quando ho iniziato a frequentare i cristiani ho capito che erano tutte sciocchezze». 

Nel 2007, però, la ex moglie, nata in Pakistan, aderì in modo stretto alla fede musulmana. In quell'anno, infatti, morì il padre e sua madre le disse che il marito era andato all'inferno perché non era credente: l'unico modo per tirarlo fuori da lì era che lei diventasse una musulmana devota. A quel punto la donna cominciò a frequentare una "madrasa" (un istituto islamico di apprendimento), a indossare un hijab e ad evitare i cristiani. Poi, nel 2013, lasciò il marito e tenne il figlio con sé. L'anno scorso la coppia ha divorziato: ora il bimbo vede il padre ogni fine settimana. 

«Dopo il divorzio, la comunità cristiana mi ha sostenuto - racconta l'uomo - In chiesa organizzano molte attività che a mio figlio piacciono e io vorrei portarlo lì. Ma quando la madre lo ha scoperto, si è rivolta al tribunale e ha ottenuto che mi venisse vietato portarlo in qualsiasi centro cristiano». L'ordine del giudice impedisce al padre di portare il bimbo a qualunque evento religioso, gli impone di dargli solo cibo preparato secondo i dettami della legge islamica e di rassicurarlo sul fatto di essere un normale ragazzo musulmano che segue le regole musulmane. 

Da notare che il giudice che ha emanato la sentenza aveva già provocato polemiche nel 2014, quando decise di dare in affidamnento una bambina di otto anni al padre ex tossicodipendente e con precedenti penali. 

Le polemiche. In questi giorni leader cristiani ed esperti legali hanno espresso tutta la loro indignazione per la decisione. 
Andrea Williams, del Centro legale cristiano e membro del Sinodo generale della Chiesa d'Inghilterra, definisce la sentenza come un tentativo di assecondare l'Islam. «È una forma di oppressione giudiziaria - ha detto - Quella donna usa la legge per mettere a tacere il diritto di un padre di far provare un'esperienza religiosa al figlio. Questo mi sembra in sintonia con quello che spesso vediamo nel sistema giudiziario: per paura di turbare l'Islam si finisce per sopprimere la fede cristiana e punire coloro che la praticano. Una vicenda simile non sarebbe successa a parti invertite: se un genitore cristiano avesse preteso di impedire che un bimbo frequentasse una moschea si sarebbe sollevato un enorme clamore suscitando accuse di islamofobia».

Sulla stessa lunghezza d'onda Simon Calvert, del Christian Institute. «Non è la prima volta che sento parlare di un procedimento in cui le autorità tentano di impedire che un bambino entri in contatto con la fede cristiana. Ci si chiede se i giudici avrebbero preso la stessa decisione con qualsiasi altra fede. La sensazione generale è che il cristianesimo sia un bersaglio facile, perché raramente si scatenano reazioni popolari. Tra l'altro, il fatto che in questo caso il padre del bimbo sia anche lui di origine musulmana non avrebbe dovuto far scattare un tale eccesso di sensibilità».
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