Brexit, ecco il compromesso. Ma su diritti e mercati ancora tutto aperto

Brexit, ecco il compromesso. Ma su diritti e mercati ancora tutto aperto
di Cristina Marconi e Antonio Pollio Salimbeni
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Sabato 9 Dicembre 2017, 07:51 - Ultimo aggiornamento: 10 Dicembre, 09:56

Il primo accordo per il divorzio britannico dalla Ue c'è. Non completo, non perfetto, con un rinvio di fatto sulla frontiera anglo-irlandese, però c'è. E permetterà ai 27 capi di stato e di governo, la prossima settimana, di certificare che «sono stati fatti progressi sufficienti» sui tre punti fondamentali: diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito e dei cittadini britannici residenti nella Ue, questione irlandese e la fattura dell'addio. C'è anche il via libera dei principali gruppi dell'Europarlamento. Quindi, a gennaio cominceranno le discussioni sul periodo transitorio di due anni durante i quali Londra dovrà accettare le regole Ue. Le discussioni sulle relazioni commerciali, di politica estera e di sicurezza cominceranno «più avanti», ha indicato il negoziatore Ue Barnier. Peraltro, Londra deve chiarire ancora cosa vuole, mentre a Bruxelles si guarda al modello dell'accordo appena concluso con il Canada. La fase 2 del negoziato sarà «più difficile» della fase 1, dicono i vertici Ue, sapendo che mantenere l'unità tra i 27 non sarà esercizio facile.

Theresa May ha dovuto cedere sulla fattura di Brexit, sui diritti dei cittadini Ue. Però il ruolo della Corte di Giustizia sulle controversie relativi ai diritti non appare al momento chiaramente vincolante. È vero che sull'Irlanda c'è un principio che potenzialmente è in contraddizione con il rifiuto britannico del mercato unico, però è ancora tutto da negoziare.

NOTTE DI TRATTATIVA
Ieri alle 7 del mattino l'accordo è stato annunciato dal presidente della Commissione Juncker e dalla premier britannica May. Si è trattato per tutta la notte. I termini sono per alcuni versi chiari, per altri da chiarire, per altri ancora virtualmente incoerenti. Sui diritti viene confermato che nessuno ne perderà: dalla residenza alla copertura dei familiari, a sanità e pensione, studio e lavoro. Però non è stato riconosciuto il ruolo automatico della Corte europea di Giustizia, la cui giurisprudenza dopo Brexit sarà «tenuta in considerazione» dalle corti britanniche, che potranno chiedere pareri interpretativi solo per 8 anni. Barnier precisa che in caso di «ricorsi pregiudiziali volontari la sentenza della Corte avrà effetto vincolante». Sui pagamenti l'accordo non riguarda solo metodologia di calcolo delle voci (non la cifra) sulla base del principio che Londra pagherà quanto si è impegnata a pagare come membro Ue. Il governo britannico indica un conto di 40-50 miliardi, la Ue intende tra 50 e 60 miliardi. La prima soffertissima e minimalissima offerta di May era 20 miliardi. Più complesso il caso Irlanda. Ci sarà un'area comune di mobilità tra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord. Londra conferma di voler «evitare una frontiera dura», ma la Commissione segnala che «ciò è difficile da conciliare con la decisione di lasciare il mercato unico e l'unione doganale». Morale: se non si troverà una soluzione nel negoziato commerciale, «il Regno Unito si impegna a mantenere il pieno allineamento alle regole del mercato interno e dell'unione doganale che, ora e in futuro, sosterranno la cooperazione Nord-Sud (irlandesi), tutta l'economia dell'isola dell'Irlanda e la protezione dell'accordo del Venerdì Santo». Ma come potrebbe essere mantenuto l'allineamento regolamentare per merci e persone senza che Irlanda del Nord o l'intero Regno Unito accettino le norme del mercato Ue da cui Londra vuole affrancarsi?

LE REAZIONI BRITANNICHE
A Londra prevale il sollievo per un esito che, per quanto lontanissimo da quello auspicato dai Brexiters, ha evitato una crisi politica in un momento in cui nessuno la voleva: né i Brexiters, per i quali è tutt'altro che scontato riuscire a portare a casa un risultato migliore di quello della May, né il Dup (unionisti irlandesi), che difficilmente si ritroverà mai ad avere così tanta influenza su un governo in futuro, né il Labour, che è spaccato esattamente quanto i Tories in materia di Europa. I due compagni di partito che più di altri hanno messo i bastoni tra le ruote alla May in questi mesi, ossia il ministro degli Esteri Boris Johnson e quello per l'ambiente Michael Gove, hanno espresso soddisfazione per l'accordo, almeno per ora. Gove l'ha definito «notevole» e ha detto che la May ha «preso in contropiede i suoi critici», mentre Johnson si è limitato a congratularsi su Twitter. L'accordo non è risolutivo e soprattutto lascia aperta la porta ad una «soft Brexit» e per questo rappresenta una vittoria politica importante per la May, che guadagna tempo evitando di dover rispondere subito al dilemma su unione doganale o frontiere che il nodo irlandese pone. Le sue ¦linee rosse negoziali sono diventate rosa, ossia pallide e sfocate, ma questo le lascia anche il margine necessario per negoziare quello che tutti vogliono e in pochi osano chiedere: un accordo che non sia un suicidio per il paese.

 

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