L'indagine, nata nel maggio 2015, ha consentito agli investigatori di far emergere un articolato sistema di false attestazioni, finalizzato a chiedere rimborsi al servizio sanitario regionale per prestazioni assistenziali mai realmente effettuate quali, ad esempio, visite a domicilio a persone non deambulanti e in assistenza Adi (assistenza domiciliare integrata) e medicazioni.
Inoltre, dal'inchiesta è emerso che il sanitario abbia consentito, agevolato e omesso di impedire alla collaboratrice, del tutto priva di titoli abilitativi della professione sanitaria, di svolgere attività di esclusiva competenza del medico stesso. Il professionista è stato infine deferito per interruzione del pubblico servizio per avere, in più circostanze, disposto la chiusura dell'ambulatorio senza dare alcuna comunicazione in proposito.
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