La mafia torna a sparare, ma Cosa Nostra è più debole

di Salvatore Lupo
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Giovedì 19 Maggio 2016, 00:10
Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, è stato vittima di un attentato condotto con largo impiego di armi da fuoco. Riuscendo a uscirne vivo solo grazie a un’auto blindata e alla reazione immediata della sua scorta. Antoci da tempo si era schierato contro la “mafia dei pascoli”, impedendole di utilizzare vaste aree demaniali per i propri affari; ed era stato per questa ragione minacciato. Gli inquirenti poi diranno se veramente questa è la pista giusta. Io, come storico di professione, e studioso della fenomenologia mafiosa anche in periodi remoti, non posso non essere colpito da questi riferimenti a pascoli e ad usurpazioni di terreni demaniali, che mi ricordano documenti ottocenteschi da me consultati in archivi polverosi, fonti di straordinario valore per capire un potere antico fortemente radicato sul territorio, che era già mafia ma che non era solo mafia.

La mafia dei pascoli di oggi è da considerarsi necessariamente primitiva, povera, dunque meno pericolosa? Non direi. Già altre volte fuorvianti considerazioni sul carattere primitivo di alcuni gruppi mafiosi (pensiamo ai corleonesi di Riina) ci hanno portato a sottovalutarli. Gli affari della mafia dei pascoli, a quanto sembra, sono lucrosi. Se le cose sono come sembrano a poche ore dall’attentato, grande è anche la sua determinazione a tutelarli con ogni mezzo. Che la pax mafiosa, nell’isola, sia finita? La domanda sorge naturale. Da più di vent’anni uomini delle istituzioni come Antoci non erano stati oggetto di attentati del genere. La memoria ritorna a tempi terribili, alla tragica sequenza degli assassini “eccellenti”, a quando Cosa nostra riusciva a far pesare la sua minaccia terroristica sugli uomini delle istituzioni e, dunque, sulla stessa democrazia italiana - alla scia di sangue che ha investito la Sicilia tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90 del secolo scorso. Quella scia di sangue indicava il percorso seguito da Cosa nostra nel suo tentativo di scalata al vertice, del potere politico e imprenditoriale, quanto meno su scala regionale.

 

Vertigine di onnipotenza: così potremmo definire la strategia corleonese a vent’anni di distanza dal suo momento culminante e terminale, dagli apocalittici attentati contro Falcone e Borsellino, dalle bombe di Firenze. La sfida terroristica non ha pagato perché, in conseguenza di questi e di tutti gli altri misfatti, una repressione storicamente senza precedenti (anche se ci riferiamo alla celebrata repressione fascista) si è abbattuta su Cosa nostra. La mafia siciliana appare oggi indebolita, tra l’altro, anche rispetto ad altre mafie o aree di criminalità organizzata internazionali e nazionali (basti pensare alla ’ndrangheta). Possiamo per questo considerarla finita? No, purtroppo, perché la sua pericolosità non si misura solo dal sangue versato (anche da quello, certo). E poi: la corruzione non corrisponde alla mafia, ma non c’è dubbio che le mafie, vecchie e nuove, possono trovare un eccellente (pessimo) brodo di coltura nel malaffare politico e imprenditoriale.

Andiamo dunque con lo sguardo al di là della mafia-Cosa nostra. Il paesaggio isolano non appare risanato, rispetto a quello di vent’anni fa. Direi piuttosto che esso è pesantemente inquinato delle macerie del passato, pezzi disorganici di politica e di economia sporche rimasti sul terreno, residuati bellici che nessuno ha saputo rimuovere, cagnolazzi senza più padrone o collare. Proviamo a ragionare, più in generale, in termini etico-politici. La promessa di nuova democrazia che si è accompagnata alla svolta del 1992-93 non si è inverata, e i partiti leggeri nati allora non si sono rivelati più impermeabili alla corruzione di quanto fossero stati quelli pesanti - la Dc, il Pci, il Psi - che allora sono morti. L’antipartito nelle sue varie manifestazioni non ha saputo proporre alternative valide: nella versione, ormai antica, berlusconiana, e nemmeno in quelle più recenti, la grillina e la renziana. La (cosiddetta) Seconda Repubblica non è stata affatto immune dalla corruzione che affliggeva la Prima, e non c’è ragione di credere che lo sarà la Terza. Non generalmente in Italia, non nelle varie regioni del Mezzogiorno, non in Sicilia. Pessimismo? No, soltanto realismo. Per dire che la strada è ancora lunga.
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