Dietro l’attentato il business dei pascoli affari d’oro sfruttando i terreni demaniali

Dietro l’attentato il business dei pascoli affari d’oro sfruttando i terreni demaniali
di Lara Sirignano
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Giovedì 19 Maggio 2016, 00:09
Alla favola della provincia “babba”, sciocca in dialetto siciliano, perché immune dalla presenza di Cosa nostra, non ha mai creduto. Nemmeno quando, rispetto a Palermo, si sparava meno e sembrava a Messina la criminalità organizzata non esistesse. «Anche allora i clan tessevano alleanze e affari» spiega Maurizio De Lucia, per anni pm alla Dda a Palermo, ora alla Direzione nazionale antimafia come coordinatore delle indagini su tutta Cosa nostra siciliana. E dall’osservatorio privilegiato che gli consente uno sguardo d’insieme sulle cosche dell’Isola traccia un quadro allarmante della criminalità della zona dei Nebrodi, retta dal leader storico Bontempo Scavo, fedele alleato di Totò Riina, come il padrino di Corleone ormai sepolto al 41 bis. Un clan forte il suo, quello di Tortorici, area dei Nebrodi, che tentò dai monti di scendere al mare e fu fermato dalla rivolta del commercianti di Capo D’Orlando che, negli anni ’90, sfidarono il racket del pizzo sotto la guida di Tano Grasso. Il boss è in carcere ma la cosca continua a fare affari. E a controllare ogni business in accordo con una imprenditoria che dalla mafia ha assimilato metodi e “regole”.

TERRENI E SOLDI PUBBLICI La chiamano la mafia dei pascoli, perché nella concessione dei terreni demaniali a canoni ridicoli e nei fiumi di soldi pubblici - europei e statali - erogati a pioggia senza gare ha visto la sua fortuna. Tanto da reagire duramente contro chi le ha messo i bastoni tra le ruote: come Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, che ha imposto la certificazione antimafia per chi chiede fondi demaniali determinando la revoca di decine di assegnazioni. Antoci è scampato miracolosamente a un attentato la scorsa notte. «È un episodio davvero grave» spiega De Lucia. «Un fatto che dà il senso della importanza degli interessi in ballo e della potenza di chi dal ripristino della legalità si è sentito toccato. Parlo di una imprenditoria mafiosa - spiega - che vuole fare affari in una provincia da sempre ricchissima e che ricorre alla violenza per proteggere i suoi interessi. Non dobbiamo pensare - continua il magistrato - a un agguato pianificato da una commissione, non dobbiamo ragionare con le categorie usate per i clan palermitani, ma certamente c’è una convergenza di interessi tra le cosche e una certa imprenditoria».

 

INTERESSI ENORMI E in ballo ci sono milioni. «Abbiamo toccato interessi enormi. Cosa Nostra si finanziava con i fondi europei e dopo che l’abbiamo messa in difficoltà ha reagito», dice Antoci. Nominato nel 2013 presidente del Parco dei Nebrodi con lui si rompe quella sorta di “patto sociale” che andava avanti da decenni e che consentiva l’utilizzo per pascolo, per pochi soldi, dei terreni demaniali. Alla rottura contribuisce non poco il giovane sindaco di Troina (Enna), Fabio Venezia, anche lui sotto scorta per le minacce ricevute. Quando Troina si aggiunge agli originari comuni del Parco, porta in dote 4.200 ettari di terreni a pascolo che il primo cittadino rifiuta di concedere alle solite condizioni.

Antoci trova un alleato e comincia la serrata verifica dei contratti. L’allargamento dei controlli (il Parco ha un’estensione di 86 mila ettari e comprende 24 comuni) e la richiesta di certificazione antimafia e dei carichi pendenti avviene anche per chi intende stipulare o rinnovare contratti di piccolo importo. Alcune concessioni vengono revocate e dal Tar arrivano sentenze che inchiodano gli affittuari, che insieme ai privilegi concessori perdono anche i lauti finanziamenti dell’Unione europea, calcolati sugli ettari a disposizione.

«STO FACENDO IL MIO DOVERE» A fronte di una spesa di 30 euro a ettaro per un terreno pubblico destinato a pascolo, chi ottiene la concessione dagli enti gode di un contributo di circa 3 mila euro a ettaro. Un business osteggiato da Antoci anche attraverso un protocollo di legalità firmato con la Prefettura di Messina. «Dobbiamo cambiarla tutti insieme questa terra» dice. «Non sto facendo niente di speciale. Sto facendo solo il mio dovere».
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