Partito unico, dall'implosione del Terzo Polo al no di FdI: perché dal Pdl in avanti, l'unificazione non funziona

Gianfranco Fini: «Creare il Pdl fu un errore enorme che non perdono a me stesso»

Partito unico, dall'implosione del Terzo Polo al no di FdI: perché dal Pdl in avanti, l'unificazione non funziona
di Mario Ajello
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Venerdì 14 Aprile 2023, 12:11

Che maledizione il partito unico! Non riesce quasi mai, e nel caso di quello Calenda-Renzi proprio mai, e quando si crea - vedi il Pd - resta instabile e soggetto a continue scissioni. È una chimera quella di unire le forze e di spartirsi la leadership perché - e la vicenda fallita di Azione più Italia Viva ne è una riprova clamorosa - pesano le gelosie di potere, i narcisismi dei capi e le questioni di soldi (ognuno vuole tenersi la propria cassa e non crede alla comunione dei beni).

Partito unico, perché non funziona

La morale della favola svanita di Renzi e Calenda è che i partiti iper-personalistici ormai sono più frequenti di quelli unitari. E il prossimo appuntamento elettorale - le Europee del 2024 in cui si vota con il proporzionale - favorisce l’opposto dei partiti unici, cioè la frammentazione, la conta di me contro te, la verifica degli equilibri tra i singoli partiti ognuno dei quali poi, al momento di stipulare le alleanze per le Politiche, farà pesare i risultati del voto europeo. 

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La vicenda del Pd: Ds e Margherita


Di fatto, la maledizione del partito unico è rappresentata perfettamente nella vicenda del Pd. «Amalgama mal riuscito», lo definì D’Alema. Anche se la sinistra-sinistra che dai dem  uscì sdegnata adesso ci è rientrata. Ma il partitone Ds più Margherita non ha davvero fuso le diverse storie e la possibile scissione da parte dei cattolici, dei riformisti e dei moderati non favorevoli alla tendenza Schlein - radicaloide e iper-progressista tutta diritti e minoranze - sta a confermare la difficoltà dei raggruppamenti larghi. Che pure sono o meglio sarebbero fondamentali per la giusta dinamica democratica che ha bisogno di semplificazione. E la parola è proprio questa: semplificare. Perciò si è parlato in questi mesi di una convergenza, da partito unico sulle ceneri dell’epopea berlusconiana, tra Fratelli d’Italia e Forza Italia: ma ora il sottosegretario a Palazzo Chigi, il super-melonista Fazzolari, ha detto che non si farà.

Specialmente adesso che ci sono le Europee, dove appunto è meglio andare divisi.

Ma dopo il voto del 2024, non è detto che convenga farlo questo partito specie se Meloni e Tajani riescono nella grande operazione di accordo in chiave europea tra il gruppo dei Conservatori e Riformisti e quello del Ppe con l’obiettivo di portare Roberta Metsola alla presidenza Ue al posto di Ursula von der Leyen del patto storico tra socialisti e popolari. E non si era parlato, ma è svanita anche questa prospettiva, di partito unitario tra Salvini e Berlusconi visti gli ottimi rapporti personali tra i due? L’unico partito unico non entrato nel bla bla di Palazzo è stato finora quello tra Lega e FdI: qui solo e sempre - si veda la questione nomine nelle aziende partecipate in queste ore - solo e sempre competition is competition

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La vicenda del Pdl e la crescita di Fdi


La fuoriuscita dal partito unico che era il Pdl da parte di Meloni ha originato la crescita di FdI e la creazione graduale della leadership di Giorgia. E proprio a proposito del Popolo della Libertà, quello di cui disse Fini riferendosi a Berlusconi «siamo alle comiche finali» ma poi ci entrò per successivamente uscirne espulso in malo modo «Che cosa fai, mi cacci?»), l’ex leader di An ha detto di recente in tivvù:  «Creare il Pdl fu un errore enorme che non perdono a me stesso». E ha incalzato Fini: «Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, fraternamente amico da tanti anni, non mi seguono e danno vita alla casa della destra. Oggi devo dire che avevano ragione loro e non io». Di più: «Quando nasce FdI noi provavamo scetticismo totale. Io stesso dicevo: ma dove vanno? L’accusa che mi veniva mossa e oggi dico avevate ragione era quella di aver posto fine alla destra autonoma. Alleanza nazionale era la casa di chi si ritrova in certe idee e in una visione». 

Oggi il sistema è atomizzato


Secondo la classificazione elaborata da Giovanni Sartori, i sistemi politici multipartitici possono distinguersi in quattro classi distinte: bipartitismo, multipartitismo moderato, multipartitismo estremo, sistemi atomizzati. E sembra quest’ultima, con buona pace dei tentativi generosi di Calenda e di Renzi, la realtà attuale. Più facile scindersi che unirsi. Basti pensare alla decina di partitelli comunisti con pulsioni fusioniste subito smentite da rotture laceranti. A sinistra Sel come unione di forze ha fallito, per non dire di Sinistra Arcobaleno. E i Radicali in quanti spicchi sono divisi? E Più Europa che ha rotto con Calenda ma Calenda ora che ha rotto con Renzi vorrebbe riconciliarsi con Emma Bonino che baciò come partner politica per poi lasciarsi definitivamente ma mai dire mai. 

Perché tutto il caos di questi giorni potrebbe risolversi in un nulla di fatto e tra 14 mesi, alle prossime Europee, tutti i vari centristi potrebbero ritrovarsi obtorto collo in un listone mal amalgamato per cercare di superare la soglia di sbarramento. Ma chissà come reagirebbero gli elettori, a vedere il listone dopo tante liti, perché la credibilità in politica è tutto.

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