La domanda è: sapranno riappacificarsi i leader del centrodestra in vista del voto del 2023? Appendice a questa domanda: i sondaggi dicono che l’alleanza piace quasi al 50 per cento degli italiani ma alle amministrative Salvini, Meloni e Berlusconi come coalizione non hanno toccato palla nei ballottaggi e il pericolo che la disfatta si ripeta, nonostante i sondaggi, alle politiche esiste. Dunque: «Basta divisioni», è il mantra del giorno dopo in Lega, FdI e Forza Italia. Ma ecco che la divisione si ripropone già da oggi in vista delle regionali di ottobre: se Lega e Forza Italia continuano a dire di no alla candidatura meloniana di Nello Musumeci o a quella di Raffaele Stancanelli o di altri personaggi di FdI, allora la rottura è pronta. E senza unità nel centrodestra perfino in Sicilia vince il centrosinistra. Idem in Lombardia: FdI ha dimostrato che al Nord è più forte della Lega ma Salvini si tiene stretto il presidente lombardo Fontana in vista di un bis che a questo punto non è scontato affatto. Alla fine, l’odore del potere probabilmente riunirà i tre leader che non si parlano più, se non in vertici ad uso mediatico che non cambiano la situazione di incomunicabilità tra Giorgia, Matteo e Silvio.
Gli scenari
Ora il quadro che si apre è questo: o Salvini e Berlusconi si coalizzano ancora di più, fino a fare il partito unico anti-Giorgia in moda da non darle la leadership della coalizione conquistata sul campo, oppure i due accettano la primazia della Meloni secondo la regola che è candidato premier il leader del partito che ha più voti (e FdI è di gran lunga il primo partito della coalizione oltre che contendersi lo scettro con il Pd a livello italiano ma nei sondaggi supera pure i dem con il 25,5 per cento) e allora si stabilirebbe una tregua.
Intanto, l’elettorato cosiddetto dei moderati ha voluto dare un segnale chiaro a Salvini, Meloni e Berlusconi: le continue tensioni, le litigate sulla lana caprina e sul sesso degli angeli ci hanno profondamente stancato. E, non potendo culturalmente votare a sinistra, per distanza siderale dallo schieramento considerato amico della tassazione esagerata e delle porte aperte agli immigrati e ai loro diritti, stavolta ha deciso di andare al mare e di disertare le urne. Uno schiaffo in pieno volto, figlio del mancato accordo di Verona, che ha consegnato una delle città più di destra dello Stivale a Damiano Tommasi. Ma anche, Verona e altre città, dicono al centrodestra che la scelta di certi nomi calati da Roma e lontani dal territorio non è accettata dagli elettori. Le sconfitte possono però essere salutari. A patto che se ne intuiscano le reali motivazioni (evitando atteggiamenti presuntuosi del tipo «non ci hanno capiti, problemi loro, programmi e candidati erano eccellenti») e la rotta va invertita subito.
Le aspettative
Nel centrodestra c’era chi pensava che, liquefatto il Movimento Cinque Stelle, gli italiani sarebbero tornati ai partiti di ispirazione novecentesca e avrebbero abbandonato l’onda lunga dell’anti-politica grillesca per tornare all’ovile dei soliti partiti. Così non è stato. Naturalmente, le elezioni politiche sono un’altra cosa rispetto alle amministrative e in queste ore i big del centrodestra non fanno che ripeterlo a se stessi e a tutti. Ma è anche vero che il disastro è figlio di un qualcosa che si è inceppato a monte. Non è colpa del destino cinico e baro il disastro di Michetti a Roma, di Bernardo a Milano, mesi fa, e oggi di Sboarina a Verona per non dire di Cuneo, Alessandria, Piacenza e Parma, Catanzaro, Monza e via così. L’esito elettorale è il prodotto di una coalizione che funziona solo quando intercetta una spinta populista, di rabbia e protesta, ma quando i leader non riescono più neanche a parlarsi al telefono e a scegliere le persone giuste nei vari territori (il caso Michetti non è stato evidentemente superato) allora impazza la disaffezione. Questo giugno 2022 parla insomma al marzo 2023, e il pericolo di un altro ribaltone a favore del centrosinistra non va escluso con supponenza, perché il potere - che ancora non c’è - logora chi litiga e bisticcia.