Russell Crowe è Padre Amorth, l'esorcista del Papa: «Ho combattuto contro il diavolo». Ma il Vaticano prende le distanze

Nelle sale il film "Esorcista del papa", un mix di horror, storia, effetti speciali e avventure, diretto dal regista australiano Julius Avery

Russell Crowe è Padre Amorth, l'esorcista del Papa: «Ho combattuto contro il diavolo». Ma il Vaticano prende le distanze
di Gloria Satta
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Domenica 16 Aprile 2023, 07:16 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 11:27

Al mio segnale allontanate l'inferno. Combatte il demonio e gira per Roma in Lambretta, si confronta ogni giorno con le sofferenze delle persone ma non rinuncia alle battute di spirito: «Appena mi vede, il diavolo scappa perché sono più brutto di lui». Fede e coraggio, senso dell'umorismo e una buona dose di candore: ecco a voi l'Esorcista del papa, alias Russell Crowe protagonista dell'omonimo film, un mix di horror, storia, effetti speciali e avventure, diretto dal regista australiano Julius Avery (Samaritan) e appena uscito in sala e già al secondo posto nella top ten degli incassi dietro il campione Super Mario Bros. L'attore neozelandese, 59 anni e un Oscar, ha messo carisma, presenza e convinzione nell'interpretazione di Padre Gabriele Amorth, il celebre esorcista vaticano, morto a Roma nel 2016 a 91 anni. Ed è proprio ispirato ai suoi libri il film in cui Amorth-Crowe, su ordine del papa (interpretato da Franco Nero) indaga insieme a Padre Esquibel (Daniel Zovatto) sulla terrificante possessione di un ragazzo tra esorcismi, cospirazioni, colpi di scena.

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L'ENTUSIASMO


Anche se il mondo cattolico ha bocciato il film («C'è tutto meno Padre Amorth», lo ha liquidiato il quotidiano L'Avvenire), Russell non nasconde l'entusiasmo. «È stato un lavoro pazzesco, il mio», dice, «perché mi ha fatto conoscere da vicino Padre Amorth, uomo di grande fede che ha avuto una vita incredibile: sbarcò a Roma a 17 anni deciso a farsi prete ma gli dissero che era troppo presto, poi si laureò in Giurisprudenza, quindi combatté con i partigiani, fu vicino a Giulio Andreotti e praticò decine di migliaia di esorcismi.

Ma nel 98 per cento dei casi affidava i presunti indemoniati alle cure degli psichiatri: raccontava infatti di aver incontrato pochissime persone realmente possedute dal maligno». Per Crowe, che dal 2000 viene identificato con il Gladiatore, il film di Ridley Scott per cui vinse l'Oscar, la lavorazione di L'esorcista del papa ha rappresentato un'ottima occasione per vivere diverse settimane a Roma.


LA CITTÀ


«Il Gladiatore fu girato a Malta dove venne ricostruito il Colosseo, poi a Londra e in Marocco», spiega, «ma questa volta ho potuto godermi davvero la Capitale con cui ho il privilegio di avere un rapporto speciale». Si riferisce all'incarico di «ambasciatore permanente di Roma» ricevuto dal sindaco Roberto Gualtieri in Campidoglio. «Stando a lungo nella vostra città ho imparato a dire qualche parola in italiano», racconta divertito l'attore, «buona parte dei dialoghi del film sono nella vostra lingua e ho avvertito una forte pressione, perciò mi sono impegnato al massimo. E poi, vuoi mettere la gioia di circolare in Lambretta avendo alle spalle San Pietro? È stata un'esperienza mitica».

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IL GENERE


Questo è il primo horror di Crowe che non ama il genere. «Vidi l'Esorcista quando ero ragazzo e mi è bastato, in più sono molto superstizioso», confessa, «ma ho girato questo film perché non è un'esperienza a senso unico, non contiene soltanto scene terrorizzanti: ci sono anche ironia, avventura, insomma è una storia a cavallo tra Indiana Jones e James Bond. È un prodotto d'intrattenimento, la gente va al cinema e si diverte. E io sono felice di regalare al pubblico quell'evasione che non ha mai fatto danni a nessuno».


GLI ERRORI


Prima di entrare nei panni di Padre Amorth (a cui nel 2017 William Friedkin, il regista dell'Esorcista, dedicò il documentario The Devil and Father Amorth) l'attore, che ha in programma ben otto film (in uno impersonerà il grande pittore Mark Rothko), ha letto i libri dell'esorcista e si è appassionato alla sua vicenda umana. «Ho anche incontrato molte persone in Vaticano che si sono rivelate disponibilissime», racconta. «La morale del film è che per sconfiggere i peccati degli altri bisogna innanzitutto perdonare se stessi per i propri errori. È la cosa più difficile».

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