Diego Maradona è scomparso da poco più di tre anni, ma ieri ha vinto un’altra partita nella battaglia col Fisco italiano, che aveva caratterizzato metà della sua tormentata vita. Amarissimo postumo trionfo, per quel che vale. In soldoni, il valore della questione si aggira sui 37 milioni di euro, quanti ne reclama il Fisco per una vertenza legata ai compensi versati dal Napoli a Maradona, il calciatore più significativo del secolo scorso insieme a Pelé, nella seconda metà degli anni Ottanta: nei pagamenti dei diritti di immagine su conti esteri (in Liechtenstein) da parte di due società straniere si configurò un’evasione fiscale, all’epoca di 40 miliardi di lire, poi lievitata negli anni a 37 milioni di euro, più di metà dei quali in interessi di mora. Ma ora la sezione tributaria della Cassazione (presidente Roberta Crucitti) ha accolto il ricorso discusso dall’avvocato Massimo Garzilli, che rappresenta Diego Armando Maradona con l’avvocato Angelo Pisani: la corte «accoglie il ricorso principale e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità». Insomma la Cassazione dà ragione a Maradona e rimanda tutto alla commissione tributaria regionale, che dovrà esprimersi nuovamente sulla vicenda. In caso di giudizio negativo definitivo, l’eventuale debito residuo in sospeso ricadrebbe sulle spalle degli eredi.
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I SEQUESTRI
La vicenda partì a inizio anni Novanta, quando oltre a Maradona furono coinvolti anche due suoi compagni di squadra, i brasiliani Careca e Alemao.
L’AUTOTUTELA
Negli anni successivi i legali di Maradona invocarono l’autotutela, chiedendo che fosse esteso anche a lui il condono di cui, per la stessa vicenda, aveva beneficiato il Napoli. Le commissioni tributarie provinciale e regionale rigettarono i ricorsi. Di qui la scelta di andare in Cassazione. Del resto già l’11 marzo 2021, anche in quel caso con Maradona già defunto, la Cassazione aveva stabilito che il calciatore argentino avrebbe potuto beneficiare del condono e che i giudici di merito avrebbero dovuto valutare la sua posizione tributaria solo per il debito eventualmente residuo nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Come è stato confermato anche nell’ultimo pronunciamento.