Il ritorno fulminante di “Fargo” alle radici dell’orrore

Il ritorno fulminante di “Fargo” alle radici dell’orrore
di Ilaria Ravarino
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- Ultimo aggiornamento: 6 Gennaio, 16:25

Le otto nomination raccolte pochi giorni fa ai Critics Choice Awards l'hanno già resa la serie rivelazione dell'anno. E nonostante i suoi produttori, i fratelli Joel ed Ethan Coen, abbiano sempre giurato non solo di non amare la tv ma di "non guardare una serie da decenni", la seconda stagione di Fargo è riuscita a compiere un piccolo miracolo: bissare il successo della prima serie e farsi confermare per la terza. 
Trasmessa da poco in Italia, ogni martedì su Sky Atlantic, negli Stati Uniti Fargo 2ha già calato il sipario sull'ultimo dei suoi dieci episodi. E a differenza di quanto avvenuto con True Detective, la serie culto di Nic Pizzolatto colpita e affondata a metà della seconda stagione, la formula inventata dall'autore Noah Hawley ha funzionato. Di nuovo. Meglio di prima.

LA STORIA
]A fornire cornice, tono e mood all'intera operazione è stato ancora una volta il film Fargo degli stessi Coen, che alla serie ha prestato i panorami candidi del Minnesota, lo spunto thriller della vicenda (sempre, rigorosamente, "da una storia vera") e l'umorismo nero da black comedy, condito da dialoghi surreali e fulminanti. Al centro della storia, di nuovo, un omicidio consumato per futili motivi che finisce per innescare una catena sempre più drammatica di eventi: il sangue continua a scorrere nei localacci di provincia e di fronte alla tentazione del male nessuno può dirsi realmente innocente. Ma ai fratelli Coen si deve anche la colonna sonora, con qualche brano rubato a due dei loro film, Fratello dove sei? e Arizona Junior, e alcuni gustosi riferimenti, seminati come "easter egg", alla loro filmografia precedente (Grande Lebowski incluso). 

ANALOGIE
Le analogie con la prima stagione, però, si fermano qui. Completamente diversa è l'ambientazione della storia, che si svolge quasi trent'anni prima della precedente. Il nuovo Fargo ci porta nel 1979, guarda all'America di Reagan, cerca di dimenticare il Vietnam, strizza l'occhio all'estetica seventies a colpi di split screen e fotografia sgranata. E anche se la neve del Minnesota continua a coprire cadaveri lungo le strade di Fargo, Luverne e Bemidji, a spalarla, letteralmente, sono uomini diversi. Donne, soprattutto. Manipolatrici e in corso di emancipazione, sono loro a indossare le maschere del male che furono di Billy Bob Thornton e Martin Freeman, protagoniste indiscusse della discesa di figli e mariti nell'abisso dell'orrore. Su tutte trionfa una rediviva Kirsten Dunst (nella foto), tornata in tv a vent'anni di distanza da E.R. e raramente così in parte, nei panni di una piccola Lady Macbeth di paese feroce e disarmante. Candidata insieme a lei ai Critics Awards, e già in predicato per gli Emmy, anche l'attrice Jean Smart, villain al femminile che regala alla serie alcuni dei dialoghi più vibranti, nella rappresentazione della caduta di una famiglia di "Corleone del Nord Europa" schiacciata dalla nuova mafia del Kansas. Unico faro di speranza in un mondo travolto dalla banalità del male è lo sceriffo Lou Solverson, il solo dei personaggi della prima serie a tornare. A lui il compito di risolvere l'intricata vicenda passata alla cronaca come "il massacro delle Sioux Falls", innescata da un criminale alle prime armi (altro attore resuscitato dalla serie: il fratello d'arte Kieran Culkin) e culminata nell'orrore. Sarà per questo motivo che Solverson, a fine caso, lascerà la polizia. L'unico modo per non farsi contagiare dal male, a quanto pare, è dargli le spalle e guardare dall'altra parte.
 
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