Giorgio Manganelli, una nuova luce sullo scrittore da una lettera inedita e un libro

Giorgio Manganelli, una nuova luce sullo scrittore da una lettera inedita e un libro
di Giorgio Manganelli
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Martedì 18 Novembre 2014, 23:37 - Ultimo aggiornamento: 20 Novembre, 11:56
Roma, 26 luglio ’69 Viola, Viola carissima, carissima Viola, Viola infine, che altro posso dire, Viola, ho ricevuto la tua lettera in data ventuno, e sono un altro uomo.



Mi sei mancata, mi sei mancata, il tuo silenzio, il tuo ritardo mi hanno angustiato assai più di quello che tu possa immaginare. Ti scrivo subito, scendo subito a spedire, perché se non vieni domani, come spero con tutta l’anima, possa ricevere questa mia, lunedì.



Voglio dirti che si ti ho salutato affettuosamente alla partenza, ti accoglierò al ritorno – la dirò quella parola amara e squisita, quella parola diffidente e fantastica, ti accoglierò con amore. Non amo questo telefono vedovo della tua voce, la tua voce blesa e inesatta, una adolescente Viola d’amore. Per lavorare bene, ho bisogno che tu interrompi spesso il mio lavoro con parole, domande, tenere molestie. Il tuo corpo ha popolato questa casa; la tua voce è appesa al mio orecchio; la tua pazienza e insieme – come dirò? – il tuo Dasein, il tuo-essere-lì, insieme sommessa e inevitabile, ha colmato i miei labirinti di tappeti e di segni, sotto i quali forse non c’è più traccia di pareti.



Non ti avevo mai scritto in questo modo, non ti avevo mai parlato in questo modo, mai sentito così bruciante, insinuante, magra e languida abitatrice di un cervello che volta a volta ha forma di forca, di letto, di casa, di pianoforte a coda, di acqua di giardino. Tutto ciò è lievemente risibile, vero? No, non lo è. Ho passato giorni istoriati di solitudine, di assenza; ora leggo il precipitoso riaffiorare di segni densi, intricati, allusivi e fitti. Sono i segni, gli ierogrammi con cui, lentamente, colmo il bianco della tua assenza coi primi indizi del tuo ritorno. Ti abbraccio.



La riscoperta. Le lettere d’amore sono ridicole? Così sostiene Pessoa, ma hanno sempre qualcosa di magnetico, e leggerle è indiscreto sì, ma rivelatore. Tanto più se sono firmate da scrittori come Giorgio Manganelli. Uno si immagina tutto, di questo prosatore sofisticato, giocoliere serissimo della lingua, tutto tranne una lettera come quella inedita riprodotta qui accanto. Carica di ansia e di tenerezza, attrezzatissima linguisticamente, inerme quanto alla disposizione d’animo: indirizzata nel luglio del ’69 – il Manga era uno splendido quarantasettenne con già alle spalle un libro come Hilarotragoedia – all’anglista Viola Papetti.



L’ha recuperata il giovane Giorgio Biferali, mentre lavorava al suo bel saggio, appena uscito per Artemide, Giorgio Manganelli. Amore, controfigura del nulla (se ne discute oggi a Roma, Casa delle Letterature alle 18 con Sandra Petrignani). Biferali insegue Manganelli sulla pista dell’amore e degli amori, e affronta, di questo geniale tapiro – fisico tondeggiante, occhi piccoli, indole solitaria –, l’inesausto, malcelato corpo a corpo con il tema dei temi. L’amore, appunto. Ripercorre anche le sue vicende private, un primo matrimonio vissuto da separati in casa, altre storie lussuriose e complicatissime, che non bastano a Manganelli per avere fiducia fino in fondo nel Simposio di Platone o nel “dolce stil novo”.



Più Manganelli parla d’amore, spiega Biferali, più sembra intenzionato a negarlo: lo associa infatti a parole come allucinazione, frode, fantasma, malattia, lo teme, come teme l’«antro infido» del corpo femminile. L’amore per Manganelli è una condanna appesa a un «quasi», è attesa, è finzione, nulla vi è di sicuro. Così, l’indagine di Biferali ci mostra uno scrittore inquieto che riassocia amore e morte come un classico greco o latino redivivo, ma più ironico, più caustico, più viscerale, in una parola più disperato.



FANTASMA «Perché compromettere la propria esistenza con una donna in carne ed ossa, se comunque è destinata a dissolversi? Tanto vale che sia già dissolta, scomparsa, inesistente» scrive Biferali su questo Manganelli “in love” che però nega testardo l’amore.
E che arriva al paradosso di scrivere una lettera d’amore – proprio sulle pagine del “Messaggero”, con cui collaborò per molti anni – a una donna-fantasma: la Valentina di Guido Crepax. «A te non occorre esistere. Tengono il tuo posto odori, strani scricchiolii, ossa o carta, il fruscio di qualcuno che cammina. Valentina. Ripeto il tuo nome. Amo il tuo nome? Se lo pronuncio, piango d’un fiato: carissima»: così a una creatura di carta il Manga innalza il suo canto d’amore. Si sarebbe portati dunque a pensare che abbia amato nella sua vita più di ogni altra cosa la finzione, la letteratura: queste le conclusioni a cui approda Biferali. Certo è che quando scrive a Viola «la dirò quella parola amara e squisita, quella parola diffidente e fantastica» – la parola «amore» – il Manganelli innamorato si contraddice. Diventando, senza ironia e con dolcezza, uno scrittore romantico.
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