Egitto e Libia, quelle morti contro gli interessi italiani

Egitto e Libia, quelle morti contro gli interessi italiani
di Marco Ventura
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Venerdì 4 Marzo 2016, 00:43
A indicare la strada fu Robert Clive, che creò la potenza della Compagnia delle Indie Orientali britanniche e fu anche governatore del Bengala. Nel ‘700, Clive d’India teorizzò l’interdipendenza tra espansione commerciale e forza delle armi: i commerci finanziano le armi e le armi proteggono i commerci. Stando a una fonte italiana ben informata, questa sarebbe la strategia che alcune potenze stanno perseguendo in Nord Africa, purtroppo a danno dell’Italia che si sarebbe «allargata un po’ troppo» negli ultimi mesi. Sospetti che nel cauto silenzio generale si stanno a mano a mano radicando in alcune stanze dei bottoni. A dare la stura a questi retroscena, l’uccisione di Giulio Regeni in Egitto e lo strano ritrovamento del corpo del povero ricercatore di Cambridge a pochi metri da una caserma e nel giorno della visita del ministro Guidi (Sviluppo economico) al Cairo. Ma tutto si terrebbe: l’Egitto e la Libia.

IL RAPPORTO CON AL SISI
Quando è andato al potere il generale Al Sisi, Matteo Renzi è stato il primo capo di governo europeo a visitare il Cairo e poi a partecipare a un mega-forum economico a Sharm el Sheikh. L’Eni, inoltre, ha coronato l’impegno nelle nuove esplorazioni nell’area con la mega-scoperta del giacimento di Al-Zhor che vale “a regime” ben 200mila barili di petrolio al giorno e investimenti per almeno 12 miliardi di dollari.

 
Quella scoperta ha cementato un’amicizia che vale in scambi commerciali (nel 2014) oltre 5 miliardi di euro e che in prospettiva mira a progetti per i quali complessivamente il governo egiziano ha annunciato di voler investire 80-90 miliardi di dollari nei prossimi anni. L’Egitto confina con la Libia, dove l’Italia ha perso improvvisamente, nel 2011, le posizioni che aveva con fatica riguadagnato chiudendo il contenzioso coloniale, a causa dell’intervento franco-britannico per abbattere Gheddafi (sostenuto anche dalla Clinton che convinse Obama ad aggiungersi alla coalizione). E non a caso, in questi giorni, circolano notizie circa la presenza sul terreno di forze speciali inglesi e francesi, mentre i raid americani si avvicinano a zone nelle quali l’Italia, attraverso l’Eni, gestisce impianti strategici per il gas.

Ma non sono solo i commerci e il petrolio in gioco. Ci sono anche le telecomunicazioni, una rete di “corridoi” che attraversa il Mediterraneo. La Libia, poi, è anche un po’ la porta dell’Africa subsahariana, con Paesi che fanno registrare forti tassi di crescita e costituiscono mercati potenziali ai quali il governo Renzi ha prestato attenzione. L’interesse dell’Italia in questo momento sarebbe quello di consolidare i successi in un clima di stabilizzazione progressiva da ottenere attraverso l’azione diplomatica. È quanto sta facendo in Libia il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ostinatamente mediando tra le milizie per arrivare a un governo di unità nazionale che tenga unito il Paese. Anche le diversità di vedute con lo stesso Egitto di Al Sisi circa l’auspicato accordo tra parlamenti di Tobruk e Tripoli, tra il generale Haftar e gli islamisti vicini ai Fratelli musulmani (che l’Egitto aborrisce), si starebbero appianando e cresce la speranza in una soluzione politica considerata imprescindibile per l’intervento della coalizione a guida italiana.

AGITAZIONE MILITARESCA
Ma se gli Stati Uniti confermano la leadership dell’Italia, l’agitazione militaresca di alcuni alleati è vista con apprensione e irritazione a Roma. Anche perché qualsiasi esposizione aumenterebbe inutilmente il rischio di attentati contro gli italiani. 
 
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