Arturo, il ragazzo accoltellato a Napoli: «Ho paura, a Natale voglio un giubbotto antiproiettile»

Arturo, il ragazzo accoltellato a Napoli: «Ho paura, a Natale voglio un giubbotto antiproiettile»
di Maria Chiara Aulisio
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Venerdì 22 Dicembre 2017, 08:11 - Ultimo aggiornamento: 10:32

È molto provato Arturo, stanco e sofferente, ma non ha perso il sorriso nonostante il dolore provocato dalle profonde ferite e dai tubi di drenaggio infilati nei tagli alla gola e al polmone che ancora destano più di una preoccupazione ai medici che lo hanno in cura. Non ha perso il sorriso, il giovane Arturo, stampato su un volto da adolescente sano e ben educato, gentile nei modi e dallo sguardo intenso. Non ha perso il sorriso e nemmeno il senso dell'umorismo che gli consente di trovare la forza di fare anche un po' di amara ironia, immobile nel suo letto d'ospedale al terzo piano del reparto di chirurgia del San Giovanni Bosco dove è stato trasportato d'urgenza dopo l'aggressione. Mostra una apparente serenità che si confonde con un'espressione di autentica dolcezza che chiaramente fa parte del carattere. Stringe la mano della madre mentre con un filo di voce ricorda, a occhi chiusi, quegli attimi di orrore vissuti l'altro pomeriggio in via Foria quando, a due passi da casa, camminando verso lo studio del medico di famiglia dove avrebbe dovuto ritirare un certificato per il fratello, è stato aggredito e accoltellato da quattro delinquenti. Preso di mira da quelle che la madre ha definito «bestie» a piede libero che, senza una ragione e senza un obiettivo - sotto gli occhi sgomenti di decine di passanti - lo hanno massacrato solo per sfogare odio, violenza e crudeltà contro un bravo ragazzo che mai sarebbe stato in grado di reagire a quella furia criminale. Accanto a lui la sorella, graziosa e evidentemente frastornata, la zia e la mamma, Maria Luisa, docente all'Università Partenope, ancora stravolta ma lucida, determinata e motivata a far sì che tutto ciò che è successo a suo figlio possa trasformarsi in un episodio simbolo della lotta alla criminalità organizzata che sta fagocitando la città e chi ci vive.
 


Parole forti, quelle di Maria Luisa, che oggi più che mai chiede e pretende legalità: «Glielo dobbiamo, e non solo a lui, ma a tutti i ragazzi della sua generazione a cui è necessario garantire una speranza. Vanno protetti e incoraggiati. Il nostro impegno sarà quello di gridare che non ci arrendiamo, sarebbe troppo comodo. Questa è, e deve rimanere, la città dei giovani che studiano, giocano e si divertono. E non degli accoltellatori. No, non ci faremo spaventare, andiamo avanti a testa alta e la manifestazione di domani (oggi, ndr) ne è la dimostrazione concreta».
Arturo la ascolta, continua a sorridere dolcemente e annuisce, un bambino cresciuto finito in una vicenda enorme di cui ancora non riesce, e probabilmente non riuscirà mai, a darsi una spiegazione. Non ha ancora smaltito la stanchezza e lo stress di un interrogatorio lungo circa due ore al quale ieri mattina è stato sottoposto come teste dagli investigatori della Squadra mobile alla presenza del magistrato e di uno psicologo. Poco prima c'era stata anche la visita del sindaco Luigi de Magistris, del questore di Napoli Antonio De Iesu, con il comandante dei carabinieri Ubaldo Del Monaco, e poi quella dei ragazzi della «IV B» del liceo scientifico «Cuoco Campanella», la sua classe, che da quando è stato aggredito non gli ha fatto mai mancare affetto e vicinanza. A cominciare dalle insegnanti.

Adesso ha solo voglia di dormire, Arturo: l'altra notte l'ha passata in bianco perché il dolore non gli ha dato tregua nonostante la quantità di farmaci che gli viene regolarmente somministrata dai medici che lo hanno in cura. Ed è proprio a uno di quei dottori che entra in camera a fargli visita, che il ragazzo chiede un sonnifero: «Datemi qualcosa di forte, ma molto forte perché non ce la faccio più a stare sveglio». La notte con lui l'ha trascorsa il papà, Vittorio, ingegnere napoletano: il reparto in cui è ricoverato è solo maschile e a una certa ora della sera le donne devono andar via.

Arturo, come stai?
«Male male, ho dolori ovunque ma per fortuna sono vivo. Ho sentito dire che hanno accoltellato un altro ragazzo, è vero?»

No, per fortuna non hanno accoltellato nessuno.
«Ma il sangue lo hanno tolto dalla strada o è ancora lì?»

In via Foria non c'è più niente. Invece qui ci sono tanti amici. Quanti compagni di scuola sono venuti a trovarti in ospedale?
«Tanti. Forse tutta la classe, alcuni poi sono stati sempre con me. Mi ha fatto piacere».

Ormai sei diventato un eroe nazionale.
«Ma quale eroe... Spero solo di dormire stanotte, non ce la faccio più a stare sveglio. L'ho detto al dottore: voglio un sonnifero forte».

 

L'altra notte non hai dormito?
«Neanche un po'. Mi fa male tutto e non mi posso muovere».

Quanti messaggi di affetto e solidarietà hai ricevuto?
«Nessuno. Il telefonino non ce l'ho più. Si è perso quando sono stato aggredito, in quella confusione chissà che fine ha fatto».
Ma la fidanzata ce l'hai?
«Non ancora».
Ti hanno detto quando potrai tornare a casa?
«Non lo so. Dipende da come andranno le cose in questi giorni. Spero magari il 25 di poterlo passare a casa, ma vediamo: mi hanno detto che è ancora presto per deciderlo».
Che regalo vorresti ricevere per Natale?
«A questo punto forse ci vorrebbe un bel giubbotto anti-proiettile. Non si può mai sapere: dai coltelli si passa alle pistole. Scherzo, la mia è solo una battuta».
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