Gabriele Corbyons, lo stylist delle star: «Così ho trasformato Ilaria Spada (e gli altri)»

Ilaria Spada
di Valentina Venturi
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Giovedì 22 Giugno 2017, 09:28 - Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 08:35

Stylist, designer, fotografo e consulente per band di moda. Questo e altro ancora è racchiuso in Gabriele Corbyons, romano ma con un’anima newyorkese, visto che la madre (Marta Tizzani) e la zia (Tilli Tizzani) sono state modelle per Richard Avedon e Helmut Newton e Marta è stata anche modella di Salvator Dalì. 

Cosa serve per diventare stylist?
«Con le celebrity è un lavoro di ascolto: comprendere le loro necessità, capire cosa gli piace e cosa no, come si sentono belle e quando no. Dopo l’ascolto si deve riuscire a rompere determinati schermi. La celebrity può avere una visione che crede giusta ma io devo percorrere strade diverse, per dare quel tocco che non vedono. La celebrity è una persona, la modella anche, ma in più ha una personalità strutturata che deve accompagnare l’abito».

Che donna è Lucrezia Lante della Rovere?
«Ha una femminilità forte, con un preciso gusto personale. Il lavoro su di lei è dipeso molto dalla conoscenza e dal sapere cosa le piace e cosa no. Di certo non ama uno stile troppo leccato; ha un’eleganza interiore».
 

 


Max Gazzè invece?
«Ho curato i suoi ultimi album, dalle foto alle cover. E’ un uomo con una netta personalità, ma ha anche grande l'intelligenza di farsi consigliare. Usa sempre l'ironia. Per l'ultimo album "Maximilian" ho creato un'immagine in bilico tra il costume e l’abito contemporaneo; la giubba che indossa viene dal film di Franco Zeffirelli “Romeo e Giulietta”, a cui ho aggiunto elementi moderni. Un mix and match, per rendere il look attuale e scenico».

Tra le vip che cura c'è anche Ilaria Spada. 
«Con lei è stato un processo di pulizia dell’immagine. Voleva cambiare: da personaggio televisivo leggero, voleva venissero fuori la profondità, l’ironia e il gusto. E’ stato un lavoro di visualizzazione. Le ho dato un’immagine francese, sofisticata, con poche scollature, volumi diversi e contrasti di colore». 

Come è nata l'idea di occuparsi di shooting?
«Per anni ho lavorato come designer. Dopo gli studi allo Ied ho disegnato occhiali, scarpe, di tutto... Ben presto ho preferito il lavoro dello stylist; i fotografi stessi mi hanno chiesto di collaborare. Un lavoro entusiasmante, dove ogni servizio è un mondo diverso e bisogna inventarsi ogni volta storie nuove. Nei servizi fotografici gli abiti raccontano e riassumo la breve storia che vuoi descrivere».

Grandi differenze rispetto alle consulenze di aziende?
«E' un altro approccio, in questo caso si parla di identità del brand. In genere è un lavoro con aziende in fase di start up o che vogliono cambiare immagine: ci si relaziona in team». 

Quali le differenze tra editoriali di moda, curare il look delle celebrity e la consulenza per brand?
«Il punto di partenza è lo stesso: tutto nasce dalla ricerca, solo dopo i progetti si diversificano».

Il primo abito non si scorda mai...
«Ero al Festival del Cinema di Venezia e Lidia Vitale indossava un abito di Amen e delle particolari scarpe di Casadei con cristalli. Fu un successo». 

Il vip nel cassetto?
«Mi piacerebbe vestire Tilda Swinton.
Mi piace come donna al di fuori del tempo e delle mode. Oppure Florence + The Machine. Diciamo che prediligo personalità e bellezze estetiche non comuni».

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