Urbino, chi sono le vittime: Sokol, la famiglia rimasta in Albania e il sogno di diventare medico in Italia

Cinzia l'infermiera e l'autista Stefano lavoravano insieme da molti anni. Lo schianto un'ora prima della fine del turno

Incidente Urbino, chi sono le vittime: Sokol, col sogno di diventare medico in Italia, Cinzia Mariotti, Stefano Sabbatini e Alberto Serfilippi
di Simonetta Marfoglia
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Mercoledì 27 Dicembre 2023, 23:43 - Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 00:21

Ancora una manciata di ore e avrebbe finito il turno sulla Potes medicalizzata, e già pensava a cosa avrebbe fatto trovare in tavola di buono a figlia, genero e nipotino che aveva invitato a una cena post natalizia per la sera. Cinzia Mariotti, infermiera di 49 anni di Acqualagna, viaggiava sull’ambulanza insieme a Stefano Sabbatini, l’autista 59enne di Fossombrone e al medico 41enne Sokol Hoxha, che dall’Albania era finito a studiare medicina ad Ancona per poi prendere casa a Ponte degli Alberi. Colleghi e amici. Cinzia e Stefano anche qualcosa di più, quel lavorare insieme gomito a gomito a soccorrere e salvare vite aveva cementato un legame fortissimo. Ieri pomeriggio tutti e tre erano in servizio sulla Potes che da Fossombrone stava trasportando un paziente, Alberto Serfilippi, 85 anni compiuti il 23 dicembre, all’ospedale di Urbino. Un trasferimento di routine, una strada, la bretella della statale 73 Bis, che l’equipaggio conosceva bene, compresa la galleria Ca’ Gulino, una comoda 4 corsie di poco più di 800 metri. Ma in quel tragitto noto c’è stato un prima e un dopo, uno “sliding doors” che piomba nel momento in cui l’ambulanza viene inghiottita dal tunnel. 

IL DOLORE

Sono da poco passate le 15. Fuori c’è una luce intensa, preludio a un tramonto di fuoco; dentro c’è buio, fuoco, dolore e morte. Cinzia, Stefano, Sokol e Alberto muoiono sul colpo, uccisi dallo schianto contro il pullman dei ragazzi in gita, mentre attorno si scatena un inferno di fiamme e fumo. Non basteranno le lacrime a spegnere quel rogo.

Le lacrime dei colleghi sconvolti a cui la notizia giunge bruciante come una scudisciata («Non Cinzia, non lei, era l’anima della Potes»). Il direttore della Potes, Alessandro Bernardi, raggiunge il punto di Fossombrone per consolare chi piange e accogliere i parenti delle vittime. La mamma dell’autista, appresa la notizia della tragedia, si sente male. Arriva anche il vice sindaco a portare il cordoglio del Comune di Fossombrone. Si rincorrono le telefonate, il tam tam del messaggio funesto che raggiunge ogni pertugio dell’Ast di Pesaro Urbino. «Non è vero, non può essere vero»: i colleghi si consolano a vicenda, ma non ci si riesce. Qualcuno prova a riannodare i ricordi, qualche aneddoto di vita insieme che ora brucia come sale: «Sokol lo conoscevo bene, gli ho fatto io gli esami quando ha chiesto di entrare nel 118, insieme ad altri corsisti una decina di anni fa. Una persona preparata, educata e mite. Non ci credo che non lo rivedrò più».

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