Ancona, il brand Marche resiste: Tod's, Winx, Ariston, iGuzzini, Fileni, Lube, Nuova Simonelli

Iginio Straffi
di Agnese Carnevali
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Giovedì 16 Ottobre 2014, 13:29 - Ultimo aggiornamento: 13:47
ANCONA - Tod’s, Ariston Thermo, Fileni, iGuzzini. E poi gli emergenti Imab Group, Nuova Simonelli, Giano calzature, Rainbow. La conquista di nuove frontiere da parte del brand Marche e il consolidamento sul territorio regionale oggi è affidato a loro.



Se molti dei marchi storici cedono alle offerte degli stranieri - dell’altro giorno l’ufficializzazione dell’acquisto di Indesit da parte della statunitense Whirpool - il made in Italy delle Marche può contare ancora su un folto numero di imprese che non solo resistono alla crisi, ma si rilanciano e crescono.



Ci sono i colossi come Tod’s, famosi nel mercato mondiale dove si sono imposti da anni, ma anche nomi passati attraverso i venti funesti della crisi che hanno saputo riorganizzarsi e tornare a nuova crescita come Fileni, ma anche Lube e Scavolini.



E non mancano gli emergenti. Nessun pericolo dunque per la sopravvivenza della marchigianità nell’industria. A dirlo è il direttore generale di Istao, Giuliano Calza. «Il made in Marche è assicurato da molti aziende. I settori di espansione restano quelli che hanno tradizionalmente caratterizzato la regione». Qual è dunque la mappa dell’attuale made in Marche? Tod’s (calzaturiero) Ariston Thermo (elettrodomestico), Elica (elettrodomestico), Fileni (agrolimentare), Biesse (metalmeccanico), iGuzzini (illuminotecnica), Lube (mobile) Clementoni (giocattolo), Scavolini (mobile), Eusebi (sicurezza). Ancora: Imab group (mobile), Sabelli (agroalimentare), Isa (nautica), Nuova Simonelli (macchine da caffè), Giano (calzaturificio), Rainbow (animazione).



Il direttore generale dell’istituto Olivetti invita comunque a non demonizzare l’ingresso di capitali stranieri nel tessuto economico della regione. «L’arrivo di capitali esteri può essere un vantaggio per le Marche e nel complesso per il nostro Paese - spiega Calza - Gli ultimi gruppi entrati nelle realtà produttive marchigiane non sono arrivati per smembrare le aziende e intaccare l’aspetto occupazionale. Prendiamo il caso Indesit - prosegue - l’operazione ha visto il primo player mondiale dell’elettrodomestico acquistare il secondo player europeo. Indesit non era in crisi. Possiamo parlare semmai di contrazione».



Eppure il cambio di proprietà di un’azienda storicamente legata ad una famiglia e al territorio, come Indesit da sempre dei Merloni e simbolo di Fabriano, è sempre vissuto come una perdita per la comunità. È finito il tempo delle “aziende di famiglia”? «Il passaggio generazionale - riprende Calza - rappresenta sempre un problema. C’è chi decide di mantenere tutto in famiglia e chi di tenere solo la proprietà dando all’azienda un’impronta più manageriale, lasciandola gestire ad altri. Non c’è una strada migliore dell’altra. Il punto è chiedersi chi saprà sviluppare meglio l’impresa».