“Questo giudizio nasce male – ha attaccato il difensore del Museo, l’avvocato Alfredo Gaito, rivolto al giudice Giacomo Gasparini – abbiamo chiesto la pubblicità dell’udienza già nel 2007. La Corte Costituzionale ha commesso un errore nell’annullare solo l’appello. Anche l’ordine di confisca è stato fatto a porte chiuse e quindi anche quell’udienza è nulla”. “Se il giudice ha coraggio – ha poi aggiunto a margine – dovrebbe sollevare di nuovo una questione di legittimità”. È tornato a rimarcare la mancanza di contradittorio davanti al gup Lorena Mussoni, autrice dell’ordinanza di confisca del 2010. Poi si è rivolto alle Cento Città e all’indomito esponente dell’associazione, Alberto Berardi: “È estranea al giudizio per ruolo, funzioni e momento”. Al giudice ha precisato la sua mission: “Ricostruire la normalità dei rapporti del Museo. Il bene fu acquistato con scrupolo o disinvoltura?” La prima, ovviamente per la tesi del Gaito, che punta il dito contro l’Italia “rimasta inerte per oltre 30 anni, inerzia che accredita la buona fede del compratore. Il Getty può anche essere stato truffato”. Ma altro che vittima di truffe per l’avvocato D’Ascia: “Il museo americano ha fatto affari con mercanti d’arte e tombaroli. Ha sempre seguito questa prassi criminale. Ha provato a dare una parvenza di liceità all’acquisto del Lisippo ma senza riuscirci. Se le altre opere erano sconosciute, della Statua invece si stava parlando. Statua mai vista dallo Stato italiano. Quindi come si fa a dire che è uscita legittimamente dal nostro territorio? In più le assoluzioni vari sono solo dubitative. Frutto dell’attività di occultamento durata fino a quando il Getty ha esposto il Lisippo. Ma quale buona fede, piuttosto dolo! E quale Stato inerte! Fino al 77 non è stato fornito nulla dal Museo. E non c’è stata alcuna collaborazione da parte del Getty”. Prossima puntata: il 18 maggio.
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