Fano, battaglia in aula per il ritorno del Lisippo

Fano, battaglia in aula per il ritorno del Lisippo
di Elisabetta Rossi
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Giovedì 21 Aprile 2016, 16:47
FANO (Pesaro e Urbino) - Udienza pubblica ma senza pubblico per l’appello bis del Getty di ieri mattina, in cui, anche se sono mancati gli spettatori, non sono mancate però le stoccate tra i protagonisti. Da una parte, i legali del Museo, che hanno chiesto anche l’annullamento dell’ordine di confisca del Lisippo e l’estromissione delle parti civili, ovvero dell’associazione Le Cento Città e dell’Avvocatura della Stato. Più l’ammissione di dodici testimoni (di cui tre sono morti e la maggior parte è all’estero). Testimoni che non si esclude possano anche essere sentiti per rogatoria. Dall’altra, il pm Cecchi che ha insistito sulla malafede del Getty, spalleggiata dall’avvocato dello Stato, Lorenzo D’Ascia che ci è andato giù duro. E spunta intanto anche un altro fascicolo sul caso Lisippo. È stato aperto dal pm Cecchi nel 2009 per esportazione illecita di opere d’arte e per reati contro la conservazione dei beni di interesse artistico e storico (l’ipotesi è che la statua venne restaurata non a regola d’arte causando danni). Tra gli indagati figura un avvocato, Vittorio Grimaldi, che è anche nella lista dei testimoni del Getty e che seguì la trattativa e sembra sia stato l’unico, nel maggio del ’71, a vedere il Lisippo quando era ancora in Italia. La Cecchi ha depositato un articolo scritto dal Grimaldi e che compare nel 2013 su un sito “La lampadina”. Nonostante i Barbetti di Gubbio fossero stati assolti per insufficienza di prove, “neppure dopo quel giudicato – ammette Grimaldi – i miei amici (Ndr quelli del Getty) avrebbero potuto acquistare un bene culturale che era comunque transitato sul territorio nazionale ed era poi stato esportato violando le leggi”. 
“Questo giudizio nasce male – ha attaccato il difensore del Museo, l’avvocato Alfredo Gaito, rivolto al giudice Giacomo Gasparini – abbiamo chiesto la pubblicità dell’udienza già nel 2007. La Corte Costituzionale ha commesso un errore nell’annullare solo l’appello. Anche l’ordine di confisca è stato fatto a porte chiuse e quindi anche quell’udienza è nulla”. “Se il giudice ha coraggio – ha poi aggiunto a margine – dovrebbe sollevare di nuovo una questione di legittimità”. È tornato a rimarcare la mancanza di contradittorio davanti al gup Lorena Mussoni, autrice dell’ordinanza di confisca del 2010. Poi si è rivolto alle Cento Città e all’indomito esponente dell’associazione, Alberto Berardi: “È estranea al giudizio per ruolo, funzioni e momento”. Al giudice ha precisato la sua mission: “Ricostruire la normalità dei rapporti del Museo. Il bene fu acquistato con scrupolo o disinvoltura?” La prima, ovviamente per la tesi del Gaito, che punta il dito contro l’Italia “rimasta inerte per oltre 30 anni, inerzia che accredita la buona fede del compratore. Il Getty può anche essere stato truffato”. Ma altro che vittima di truffe per l’avvocato D’Ascia: “Il museo americano ha fatto affari con mercanti d’arte e tombaroli. Ha sempre seguito questa prassi criminale. Ha provato a dare una parvenza di liceità all’acquisto del Lisippo ma senza riuscirci. Se le altre opere erano sconosciute, della Statua invece si stava parlando. Statua mai vista dallo Stato italiano. Quindi come si fa a dire che è uscita legittimamente dal nostro territorio? In più le assoluzioni vari sono solo dubitative. Frutto dell’attività di occultamento durata fino a quando il Getty ha esposto il Lisippo. Ma quale buona fede, piuttosto dolo! E quale Stato inerte! Fino al 77 non è stato fornito nulla dal Museo. E non c’è stata alcuna collaborazione da parte del Getty”. Prossima puntata: il 18 maggio.
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