Derisa quando giocava con i maschi, la rivincita della Olmetti: «Ora una scuola calcio per bambine»

Valeria Olmetti in azione
di Marco Barzelli
4 Minuti di Lettura
Martedì 1 Novembre 2022, 09:40 - Ultimo aggiornamento: 10:45

Valentina Olmetti iniziò a giocare ad appena sei anni nel campetto sotto casa a Ceccano. Erano i tempi dei bambini da una parte e delle bambine dall'altra. A lei, però, «le bambole non piacevano proprio». Preferiva il pallone, la Juve, stava con i maschi. Non solo: giocava anche meglio di loro. Era un fenomeno fin da piccola. Risultava clamoroso ammirare una bimba palleggiare, dribblare e infilare tunnel in quel modo. Oggi è cambiato tutto. Ora, in quel campetto, le squadre sono miste. Anche metà e metà. Non è più sorprendente vedere una bambina che gioca a pallone. Le donne sono diventate professioniste, il movimento calcistico femminile è ormai cresciuto. Trent'anni fa, invece, non era di certo promosso sin dalle scuole elementari. Valentina giocava in quel campetto, per strada, tra i banchi durante la ricreazione. È stata quella la sua scuola calcio. Se fosse nata dieci anni dopo, avrebbe senz'altro indossato la maglia della Nazionale. È cresciuta nella storica squadra locale del patron Matteo Tiberia, nei campionati amatoriali dell'Aics. Una volta al Liceo, è stata una delle ragazze terribili lanciate dai professori di educazione fisica Antonio Micheli e Saulo Lombardi verso successi in tutta Italia. Poi ha iniziato a fare sul serio: è arrivata in Serie A. Il momento più bello della sua vita è proprio la promozione con il Ceprano nella massima serie di calcio a cinque, storica a livello provinciale. Arriverà invece nel 2015, ormai tra le file della Bellator Ferentum, quello più brutto: la scomparsa di papà Domenico, il suo più grande tifoso. Sono stati mesi terribili, aveva deciso di smettere. A 34 anni però, anche nel ricordo di suo padre, ha ripreso a giocare. È ripartita dall'Amb Frosinone, in Serie C, ma ormai vuole fare l'allenatrice. Ha già preso il patentino a Coverciano per l'allenamento dei giovani calciatori. Presto insegnerà anche nelle scuole grazie a un progetto della Federcalcio. Un po' di bambine ciociare le ha già allenate. Se c'è una nuova Olmetti? «Se devo proprio fare un nome, dico Micol Paolucci, anche lei di Ceccano - risponde l'intervistata -. Ha 13 anni ed è fortissima. Spero, però, che abbia la possibilità di giocare in un ambiente professionale e sereno».


Manca già la serenità anche nel calcio giovanile femminile?
«Sì, adesso si sta spingendo anche troppo. Per le ragazzine c'è sin da subito troppa tecnica di base. Si sta andando oltre la semplicità del calcio, che è innanzitutto divertimento. Arrivano a quattordici anni caricate da troppe pressioni e tensioni. Il mio mister è stata la strada e mi ha fatto divertire molto».
Che significava essere una ragazzina che sapeva giocare a pallone?
«I ragazzi mi stimavano e volevano bene. Anche perché mi volevano sempre in squadra con loro. Le ragazze non mi si filavano proprio. Ricordo anche qualche ragazzino che rosicava, in fondo perché era più scarso di me. Ma le battute pesanti non mancavano mai. Avevo paura che i miei non mi avrebbero fatto giocare più. Quelle cattiverie, però, mi hanno formato il carattere».
A casa sua l'hanno sempre sostenuta?
«I miei hanno fatto tanti sacrifici, soprattutto quando avevo quattordici anni e sono andata a giocare a Roma. Abitavo lì ma tornavo per via della scuola, mi dovevano riaccompagnare per le partite nel weekend. A un certo punto, però, mi hanno messo davanti alla dura realtà. Non sei un maschio, non c'è possibilità che diventi un lavoro per te, mi dicevano. Avevano ragione. Se non avessi dato retta a quei consigli, non avrei un lavoro alle spalle che mi permette di continuare a giocare e fare l'allenatrice. Oggi no, non avrebbero ragione. Le bambine possono avere lo stesso obiettivo dei bambini: arrivare in Nazionale».
Che consiglio dà a una bimba che ama il calcio?
«Di continuare a inseguire il suo sogno. A livello territoriale il problema più grande è l'indisponibilità di strutture coperte per le giovani calciatrici. Intendo creare una scuola calcio a Patrica proprio per dare alle bambine dai 5 ai 12 anni la possibilità di imparare ma soprattutto di divertirsi».
Marco Barzelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA