Luca Ricolfi
Luca Ricolfi

Il primato del Nord/Cosa dicono i numeri sulla violenza di genere

di Luca Ricolfi
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Venerdì 1 Settembre 2023, 00:12

Ogni tanto la stampa e le televisioni ci informano di qualche drammatica violenza su donne, ragazze, e persino bambine: stalking, abusi sessuali, stupri, femminicidi. Ultimamente, l’attenzione è caduta su due casi di stupro di gruppo avvenuti uno a Palermo, l’altro a Caivano in provincia di Napoli, in una realtà degradata e ostaggio della criminalità. 


Notizie di questo tipo sono doverose, e tanto più utili quanto più accompagnate da ricostruzioni accurate del contesto economico, sociale e culturale in cui i fatti maturano. C’è un risvolto della medaglia, tuttavia. Da questo genere di episodi, di cui si parla qualche volta al mese, possono derivare credenze sostanzialmente errate. 


Ad esempio, che si tratti di poche decine di casi l’anno. O che la matrice siano le condizioni sociali e culturali, particolarmente problematiche nel Mezzogiorno. O che l’Italia sia una realtà particolarmente arretrata, ben lontana dagli standard di civiltà di tante altre società avanzate.
Ebbene, nessuna di queste letture, spesso stimolate dagli episodi di cronaca, regge a un’analisi dei dati (pur imperfetti e frammentari) di cui oggi disponiamo. Partiamo dal numero di stupri: le denunce sono circa 5 al giorno, con un “numero oscuro” di almeno 50 casi non denunciati ogni giorno. Una stima rozza e per difetto suggerisce che gli stupri siano dell’ordine di 20mila l’anno. 

Ma dove si concentrano gli stupri? I dati disponibili mostrano che, contrariamente a una credenza piuttosto diffusa, la frequenza è maggiore nelle regioni del Centro-nord rispetto a quelle del Sud.


Secondo i dati più recenti del ministero dell’Interno, relativi al 2021, il record negativo delle violenze sessuali è detenuto dalla “civilissima” Emilia-Romagna, mentre la regione meno toccata è “l’arretrata” Calabria. Né si pensi che questa (presunta) anomalia sia una particolarità italiana. Se allarghiamo l’orizzonte, e passiamo a considerare i Paesi dell’Unione Europea, o l’insieme ancor più ampio dei Paesi Oecd, troviamo la stessa regolarità già osservata confrontando le regioni italiane. 


Sulla base dei pochi dati disponibili, pare che i tassi di violenza sulle donne più alti si riscontrino nei Paesi (considerati) più sviluppati, come Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, con punte inquietanti negli ultra-moderni, ultra-civili Stati del Nord: Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca (per non parlare di quel che accade fra i super-privilegiati e sovra-istruiti studenti dei college americani e britannici, dove alcune inchieste indicano che le studentesse vittime di violenza sessuale sarebbero una su 5).

Mentre i tassi più bassi si riscontrano in Paesi mediterranei come Grecia, Spagna, Portogallo, Italia.

In tutte le statistiche il nostro Paese si trova sempre nella fascia dei Paesi meno esposti alla violenza di genere.


Arrivati a questo punto, so già qual è l’obiezione: è tutta colpa del “numero oscuro”, ossia del tasso di denuncia, presumibilmente molto diverso da Stato a Stato, e significativamente più alto nei “Paesi civili”. Se il Centro-nord ha più violenze sessuali del Sud, e la Svezia ne ha molte di più dell’Italia, è solo perché nelle realtà avanzate quasi tutte le violenze vengono denunciate, mentre in quelle arretrate ciò accade soltanto per una piccola frazione del totale.

 
Questo argomento non è del tutto infondato, ma non basta a spiegare i fatti. Le differenze nei tassi di violenza fra un Paese come l’Italia e uno come la Svezia sono troppo ampie per attribuirle interamente a differenze nei tassi di denuncia, anche perché vari studi condotti nei Paesi nordici indicano, anche lì come nel nostro Paese, tassi di denuncia molto bassi, dell’ordine di un caso su 10 (se non peggio).


Ma c’è un modo sicuro per verificare se il “paradosso nordico” (i territori più avanzati hanno tassi di violenza sulle donne maggiori di quelli più arretrati), è una realtà e non un artefatto statistico: basta confrontare fra loro non le denunce per stupro, ma i femminicidi, per i quali il numero oscuro non può che essere vicino a zero (è molto difficile che l’uccisione di una donna non venga rilevata dalle statistiche).


Ebbene, anche in questo caso i Paesi del Nord hanno i tassi di femminicidio più alti, l’Italia ha valori comparativamente molto bassi e, dentro l’Italia, è il Centro-nord a primeggiare (sia pure di poco), non “l’arretrato” Mezzogiorno. Non solo, ma – contrariamente a un pregiudizio molto diffuso – i femminicidi “di possesso” (in cui il maschio non riesce ad accettare la perdita della donna) sono tipici del Nord, non del Sud.


Conclusione: i dati dicono che, tendenzialmente, più avanzata è una realtà dal punto di vista del benessere e della parità di genere, maggiore è il tasso di violenza sulle donne.
In quale modo questa circostanza debba essere interpretata, è tutt’altro che ovvio. Ma il fatto resta. E solleva una domanda: non sarà che il nostro modello di civiltà, basato sull’espansione illimitata dei consumi e dei diritti individuali, contenga in sé un difetto di fabbricazione, una sorta di vizio nascosto?


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