Marina Valensise
Marina Valensise

Dopo 400 anni/ La lezione ancora attuale di Molière

di Marina Valensise
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Domenica 16 Gennaio 2022, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:19

Venne battezzato il 15 gennaio 1622 a Saint Eustache alle Halles il primogenito del tappezziere del re, Jean Poquelin. Quattro secoli dopo, l’Europa intera si appresta a celebrare la nascita di Molière, l’inventore della commedia, il geniale capocomico creatore di opere immortali e di personaggi, tic, archetipi e manie che ancora ci interpellano. L’elenco è infinito: c’è l’avaro maniacale, il misantropo solitario, l’ipocrita rovina-famiglie col suo zelo devoto, il fanatico rampante mosso da ambizioni aspirazionali, che apprende l’esistenza della prosa e coltiva le arti in vista del salto di status, c’è il marito beffato, geloso, cornuto, il conservatore ossessivo che accoglie in casa un’orfanella per farne sua moglie, salvo scoprire poi che l’ingenua è dotata di ferrea logica, al punto da preferirgli un bellimbusto che cerca la sua protezione ignorando che è il suo diretto rivale, c’è l’ipocondriaco che ha paura di morire, la madre isterica e bacchettona, le cretine di provincia che inseguono il falso chic come le nostre influencer. 

Si capisce perché quattro secoli dopo, nonostante la patina del tempo, la monotonia degli alessandrini, il teatro di Molière continui ad essere il più rappresentato al mondo e in virtù del comico così detto significativo, che rifugge cioè dell’eccessivo, dall’assoluto, dal profondo, continui a parlare a noi moderni.

E’ come se Molière fosse riuscito a concentrare l’universale intemporale della vis comica, attingendo a piene mani al teatro latino di Plauto e Terenzio, studiando, leggendo e auscultando sin nelle loro pieghe più recondite i tipi umani del suo tempo sino a estrarne un distillato valido per ogni stagioni.

Così anche quest’anno la Comédie française, considerata la sua casa, perché fondata sette anni dopo la sua morte dagli attori della sua compagnia, e ancora oggi gestito da una sessantina di attori, sociétaires e pensionnaires, si appresta a festeggiare come ogni anno il 15 gennaio.

E per il quarto centenario mette in scena il Tartuffe nella sua versione originale del 1664 in tre atti, anziché in cinque, senza la scena del re che spunta fuori alla fine come un Deus ex machina per salvare capra e cavoli, scena aggiunta per aggirare la censura e compiacere Luigi XIV. 

Lo spettacolo segnerà l’inizio dei festeggiamenti che si protrarranno per un anno con tutte le altre commedie di Molière.

Con la regia del belga Ivo van Hove il Tartuffe sarà proiettato anche in 200 cinema, e trasmesso dalla web tv del teatro che grazie alla pandemia ha decuplicato gli spettatori. 

Intanto mentre fervono i preparativi di convegni, rassegne, edizioni critiche e ristampe (da segnalare la traduzione francese di un classico italiano, Il silenzio di Molière, di Giovanni Macchia), Molière entra a gamba tesa nella campagna per le presidenziali. Non solo invita alla temperanza davanti agli estremismi, agli eccessi e alla follia di chi vorrebbe correggere l’umanità, ma diventa il pretesto di una proposta controversa, come quella della candidata del centro destra liberale Valérie Pécresse, che per mietere suffragi in nome dello spettacolo dal vivo, vorrebbe traslarne le ceneri al Panthéon. Dimentica che Molière come osserva il biografo Georges Forestier, non ha bisogno di essere canonizzato dalla patria riconoscente.

Da quattro secoli, con la sua ironia caustica e feroce, con le sue folli invenzioni balzane, regala al mondo le parole per dire il ridicolo e per schivare il conformismo con la libertà rivoluzionaria del riso. Basta questo per farne un padre della patria, e non solo.
 

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