Il mio amico Shinsuke, nome inventato, è disperato. Dopo aver perso entrambi i genitori da piccolo, in un incidente stradale, ha avuto una vita difficile, intensa, come dire, nel bene e nel male. Una decina di anni fa, pochi mesi prima di andare in pensione, aveva perso il primo figlio: malattia incurabile. Poche settimane fa ha perso anche la seconda figlia. Si è suicidata, in ospedale. Stava male da tempo, alla fine non ce l’ha fatta più: si è chiusa in bagno, si è infilata in testa una busta di plastica e si è lasciata soffocare.
Conosco Shinsuke da oltre trent’anni: ex docente alle scuole superiori, dirigente sindacale, uomo di grande cultura e sensibilità sociale. Sempre molto impegnato, coinvolto, recentemente anche nel volontariato. Ma anche capace ogni tanto di “staccare”, ridere, scherzare. Soprattutto, una brava persona, con la quale ho spesso passato delle belle serate. L’ultima, qualche giorno fa, è stata diversa. Era davvero disperato. Anche se sempre lucido, articolato. Tutt’altro che rassegnato. Con il suo consenso, ma senza rivelare il suo vero nome, riporto qui parte del suo sfogo: «Lo so che in Occidente, Italia compresa, avete ancora l’immagine dei giapponesi che si suicidano per salvare l’onore, il famoso “harakiri”. Ma guardate che è roba del passato. Magari ci fosse ancora qualcuno che decide di togliersi la vita per pagare un grave errore o assumersi delle responsabilità: noi crediamo che la vita ci appartenga, non abbiamo remore morali o religiose. Se un politico corrotto si suicida a me andrebbe anche bene. Uno di meno… Ma qui parliamo di un altro tipo di suicidio. Quello per motivi economici, sociali. E quello dei giovani. Siamo il Paese industrializzato con il più alto tasso di suicidi al mondo, ed il suicidio è la prima causa di morte per la fascia giovanile tra i 10 e i 25 anni, quella alla quale apparteneva mia figlia. Tutto questo non è normale. E soprattutto, non è accettabile”.
Chiedo a Shinsuke: molti però pensano che tutto questo sia anche un po’ colpa vostra, di una generazione che dopo aver sognato la rivoluzione si è rassegnata alla logica dello sviluppo senza limiti, alla “schiavitù” del lavoro, penalizzando i rapporti sociali e familiari…ne abbiamo parlato tante volte….
Soprattutto, aggiungo, perché anche qui da voi la povertà avanza: siete stati, assieme all’Italia, in corsia di sorpasso per molti anni, eravamo due Paesi “modello”, con la cosiddetta classe media in espansione e il fattore Gini (Il coefficiente di Gini è una misura statistica messa a punto nel secolo scorso dall’omonimo sociologo italiano, e che misura la distribuzione del reddito in una determinata società. Una sorta di “termometro della diseguaglianza” che descrive quanto omogenea o diseguale il reddito o la ricchezza sono distribuite tra la popolazione di un Paese) in picchiata. Ora, quanto a distribuzione del reddito e disuguaglianza sociale, siamo tornati ai livelli di un secolo fa, se non di più. «Proprio così. Pensa al nostro reddito pro capite: negli anni ’90 era diventato il quarto, forse il terzo al mondo. Ora siamo precipitati al 27mo posto, appena sopra l’Italia, che è al 28mo posto. Non hai idea di cosa significhi, tutto questo: migliaia di famiglie disperate, costrette a svendere le case acquistate con mutui che non si possono più permettere di pagare, condizioni di lavoro sempre più dure e precarie. Per non parlare dei veri e propri licenziamenti, in una società dove gli ammortizzatori sociali sono pressoché inesistenti o comunque di complicata attivazione. Certo che non facciamo più figli. A parte l’impegno economico che richiede, non è bello vivere nel terrore che si suicidino….».