Carenza di regole/L’intelligenza artificiale e la sfida del diritto

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Martedì 23 Gennaio 2024, 00:51 - Ultimo aggiornamento: 06:01

Tra i tanti interrogativi che affollano il dibattito pubblico sull’Intelligenza Artificiale (AI), uno dei più prodighi di suggestioni attiene ai nuovi equilibri mondiali che potranno determinarsi nella graduale penetrazione di questa tecnologia nella vita degli Stati.


La recente trasferta a Roma di Bill Gates, collegata alla presidenza italiana del G7 per l’anno in corso, al di là di alcune diversità di vedute tra il padre di Microsoft e il premier Giorgia Meloni, ha confermato che tutti i Paesi industrializzati si stanno muovendo per mettere in atto meccanismi di governance condivisi e per evitare che l’impatto dell’AI si riveli ingestibile sul piano dell’organizzazione delle società e delle economie.
Bill Gates ha paragonato l’avvento dell’AI a quello dell’era Internet, evidenziando come entrambe queste rivoluzioni abbiano registrato una crescita esponenziale in un lasso di tempo relativamente breve.
La Rete appare sempre di più un pulpito globale e qualsiasi tentativo di orientarne lo sviluppo attraverso le armi del diritto deve fare i conti con l’universalità delle sue scoperte, che sarebbe miope affrontare con grette gelosie nazionaliste o, peggio, con il condizionamento degli steccati ideologici. 


Una preoccupazione generalizzata, della quale di recente si è fatto interprete anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, auspicando che «le nuove potenti tecnologie siano umanizzate, servano il bene comune e non siano mero strumento di interessi di parte» e avvertendo che queste tecnologie, «se rimanessero nelle mani di pochi, potrebbero innalzare le già alte barriere della diseguaglianza».
Nel caso dell’AI, una svolta tecnologica di tale portata è destinata a cambiare in profondità il rapporto tra l’uomo e il lavoro e dunque occorre la massima ponderazione nel regolare la materia, dosando apertura all’innovazione e premura nella tutela dei diritti individuali e degli equilibri sociali.


Tra gli errori da non commettere vi è senz’altro quello di non accreditare la visione di una rivoluzione gestita da un sinedrio di scienziati e da una cerchia ristretta di governanti lasciando ai margini le collettività, visto e considerato che le sfide dell’Intelligenza Artificiale non sono solo di natura tecnologica ma allungano le loro impegnative propaggini sul terreno delle declinazioni etiche dei comportamenti umani.
Tacciare di oscurantismo chi comprensibilmente mette in guardia gli Stati, le istituzioni, le imprese sui rischi che un uso debordante dell’AI può comportare per la tenuta delle società e per i diritti delle persone significa non cogliere l’essenza del problema.


Di qui la necessità di promuovere un governo globale dell’AI, uniformando su scala mondiale gli approcci alla nuova tecnologia ed evitando che differenti regimi giuridici possano generare squilibri continentali.
L’Unione Europea, con l’AI Act ormai definito nei suoi contenuti essenziali, sta introducendo soglie molto vincolanti per le aziende, al fine di contenere i rischi di alcune applicazioni dell’Intelligenza Artificiale -si pensi soltanto alla classificazione sociale e al riconoscimento facciale- e dunque impone valutazioni obbligatorie e processi di approvazione tendenti ad assicurare la piena conformità normativa e la salvaguardia dei diritti fondamentali.
L’orientamento del legislatore statunitense è invece più flessibile e punta sulla collaborazione volontaria e sulla definizione di standard di sicurezza, riducendo al minimo i divieti per chi sviluppa applicazioni di AI.

Con l’Executive Order gli Usa puntano a promuovere attivamente l’innovazione e la ricerca sull’Intelligenza Artificiale, in particolare in settori cruciali come la tutela della salute e la lotta ai cambiamenti climatici, salvaguardando la sicurezza ma attraverso linee guida e non obblighi tassativi.


In questa fase di assestamento normativo sull’AI sarebbe fondamentale che il dialogo internazionale e il coinvolgimento dei cittadini nella definizione di percorsi di innovazione responsabile fossero le stelle polari di chi muove i fili di questa trasformazione digitale epocale. Orientarne la traiettoria in funzione del benessere dell’umanità sfruttandone il potenziale costruttivo è la virtuosa frontiera pienamente realizzabile solo con la convergenza tra i modelli legislativi e le strategie dei principali attori mondiali.

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