Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Riforme urgenti/La giustizia “fai da te” che interroga la politica

di Paolo Pombeni
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Giovedì 24 Agosto 2023, 00:32

In questa bollente estate in cui il dibattito politico sembra interessarsi più di narrazioni che di problemi, emerge con una qualche evidenza nel Paese una certa voglia di frasi giustizia da sé. Sono, come ha documentato questo giornale, fenomeni non piccoli, ma certo non ancora (per fortuna) di grandi dimensioni. Sono però segnali che non è opportuno trascurare, soprattutto in un contesto in cui crescono le incertezze e gli spaesamenti a livello sociale.
Per spiegare come mai ci siano componenti della popolazione che senza attendere il corso della giustizia mirano a colpire per mano propria stupratori, responsabili di morti e gravissimi incidenti sulla strada, delinquenti di vario genere, non occorrono ragionamenti raffinati: tutto si lega alla percezione di uno stato che non è in grado di punire efficacemente i colpevoli.

 
Si dirà: attenzione, fino a sentenza definitiva sono presunti colpevoli. Eppure quello che dovrebbe essere un buon costume in un rigoroso stato di diritto si trasforma in una norma da azzeccagarbugli quando si è di fronte a colpevoli colti sul fatto o nei cui confronti ci siano prove documentali schiaccianti.
Chi vede una vita stroncata dal comportamento accertato di un pirata della strada, la violazione della libertà e intimità sessuale di una donna (ma vale anche per un uomo), l’aggressione violenta con o senza motivo di un soggetto per lo più fragile, fatica ad accettare che tutto sarà risolto in un iter giudiziario lungo, a volte lunghissimo e complesso. Intanto la percezione, ma per lo più anche la realtà è che l’autore del reato la sta facendo franca, non paga per la sua condotta inaccettabile.


Non si possono chiudere gli occhi di fronte alle cronache che sempre più parlano di autori di questi reati che davanti alle forze dell’ordine e poi alla magistratura minimizzano quanto è accaduto (e fin qui potrebbe anche essere comprensibile dal loro punto di vista), ma soprattutto si vantano di poter chiudere tutto con qualche risarcimento pecuniario, di sapere a priori che anche in caso di condanna godranno di benefici carcerari vari per cui non c‘è troppo da preoccuparsi, di essere a conoscenza di come ci si possa poi districare per non pagare pegno nelle tortuose vie del nostro sistema giudiziario.
Questo contesto deve preoccupare il governo, ma più in generale tutte le forze politiche, perché un Paese dove si sta perdendo la fiducia nella capacità dello Stato di tenere sotto controllo i fenomeni di infrazione della legge è un Paese che rischia di scivolare in forme più o meno gravi di anarchia. 
Il conferimento in esclusiva allo Stato dell’esercizio della forza per il mantenimento di una equilibrata convivenza è stato un passaggio essenziale nell’evoluzione dei sistemi giuridici e politici.

Ciò però deve essere efficace non solo nello sbocco finale (la repressione dei crimini con le condanne giudiziarie), ma nel messaggio che è in grado di trasmettere quotidianamente: il potere pubblico garantisce con intervento rapido e con la prevenzione l’ordine e la sicurezza dei cittadini.


Si deve prendere in mano la crisi che oggi, come sempre avviene nei periodi di cambiamento e di transizione, interessa il sistema delle relazioni sociali. Qui davvero deve vigere il principio della tolleranza zero: le legge deve essere percepita come obbligante a tutti i livelli.
La convinzione che con le norme “ci si aggiusta”, che quanto prescrivono non vale per tutti, è particolarmente grave quando sfocia in reati istintivamente ripugnanti per i normali cittadini, ma non cessa di essere foriera di diseducazione anche quando tocca comportamenti che sembrano non colpire direttamente la sfera dei diritti strettamente personali.


È giusto pretendere l’immediato intervento punitivo contro stupratori, assassini a vario titolo, ecc., ma si deve accettare che è altrettanto giusto chiederlo contro chi si sottrae alla solidarietà sociale non pagando le tasse, sfruttando il lavoro altrui, violando le normative edilizie e ambientali e via elencando.
Senza indulgere a demagogie forcaiole, che come è noto non hanno mai risolto i problemi, il governo e il parlamento devono mettere mano, ciascuno per la sua parte, a tutti gli strumenti con cui si risponde alla richiesta di sicurezza e di repressione dell’illegalità che viene dalla società. 


Comprendiamo che ci sono anche difficoltà strutturali: per esempio la detenzione immediata in carcere dei colpevoli già individuati con ragionevole certezza risulta complicata in prigioni sovraffollate e con condizioni di vita che rafforzano più le tendenze delinquenziali che la presa di coscienza dei propri errori, ma risolvere il problema con l’applicazione dei domiciliari e dell’obbligo di firma è percepito come una rinunzia a sanzionare in maniera adeguata condotte molto gravi (e se la pena arriva dopo un iter di anni non solo non manda un messaggio dissuasivo per chi indulge a delinquere, ma ferisce la domanda di giustizia delle vittime e della stessa società nel suo complesso).

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