Paolo Balduzzi
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Spread in salita/La via stretta delle riforme e le promesse da mantenere

di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 27 Settembre 2023, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 21:15

Un’ondata di panico sta attraversando le borse e le cancellerie europee. Sotto il peso di tassi d’interesse ancora in salita, è tornato a crescere anche lo spread, vale a dire il differenziale nei tassi di rendimento dei titoli di stato a scadenza decennale tra Italia e Germania. Impossibile, leggendo o sentendo questa parola, non ripensare al drammatico autunno del 2011, quando il paese si ritrovò nel pieno di una crisi di fiducia dei mercati internazionali. Solo pesanti riforme fiscali e pensionistiche riuscirono a salvare il paese e a riguadagnare la credibilità necessaria. Sarà quindi stato un riflesso incondizionato quello che ha messo di cattivo umore politici e analisti. Tuttavia, a ben vedere, la reazione appare esagerata e a tratti anche ingiustificata.

Non siamo nel 2011: la corsa dello spread, comunque ancora sotto i massimi toccati in precedenza quest’anno, e il rialzo dei rendimenti, che hanno raggiunto il livello del 2013, sono gli unici elementi di vicinanza con quel periodo. Per il resto, solo differenze: l’economia, seppure più debolmente rispetto alle previsioni, continua a crescere; il tasso di occupazione è a suoi massimi. L’inflazione è sì più elevata che nel 2011: ma, paradossalmente, proprio per questo fornisce adeguata giustificazione al rialzo dei tassi e alla situazione che si sta creando. Le condizioni e le responsabilità del paese, in altre parole, sembrano molto meno determinanti di quanto non lo fossero dodici anni fa. 

Tutto bene quindi e nessun motivo di preoccupazione? Non è vero nemmeno questo. Per esempio, e il Ministro dell’economia se ne è già accorto, a causa di questi rialzi indebitarsi costerà di più e ciò restringerà ulteriormente una coperta che è sempre più corta, ben oltre le peggiori recenti previsioni. Rendersene conto mentre si sta approvando la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), preparando il Disegno di legge di bilancio da presentare in Parlamento e redigendo il Documento programmatico di bilancio per l’Unione europea non deve essere stato piacevole. È un classico esempio di “circostanze variate e inedite”, come le ha chiamate Alessandro Campi su queste colonne pochi giorni fa.

Se cambiano le circostanze, quindi, deve cambiare anche l’orientamento di politica economica del governo. 


Diventa sempre più difficile pensare che nella prossima legge di bilancio si possa procedere al primo passo della riforma fiscale, con la riduzione da quattro a tre aliquote, o a un risolutivo intervento in campo previdenziale. È l’eterno dilemma dell’economista contro il politico, del lungo periodo contro il breve. Oggi le mutate condizioni ambientali spingono a preoccuparsi di non far crescere ulteriormente il debito. Le poche risorse disponibili dovrebbero essere integrate con opportuni tagli di spesa (ah, che bello sarebbe avere un regolare processo di revisione della spesa realmente integrato nel ciclo di bilancio) e dedicate alla riduzione del debito o, perlomeno, a quella del deficit per l’anno prossimo. Se non si possono abbassare i prezzi, penserebbe un buon genitore, si deve ridurre la quantità acquistata. Sarà questa via stretta a rendere possibili le ambiziose riforme del governo nel prossimo futuro. Un conto, infatti, è preoccuparsi di mantenere le promesse elettorali nel corso di una legislatura che ha ancora quattro anni di fronte a sé. Un altro è farlo avendo come obiettivo il risultato delle prossime elezioni. Nella fattispecie, quelle europee. 


Un grave errore che il paese non si può permettere. E che, nonostante gli ovvi e normali malumori all’interno della maggioranza, ci auguriamo verrà evitato dal governo. Rimandare il taglio delle imposte è cosa ben diversa di aumentare la pressione fiscale, come fece invece, costretto dagli eventi, il governo Monti nel 2011. Siamo ancora in tempo per governarli, questi eventi, e per non esserne travolti. Chi se la prendesse col Governo per un eventuale rinvio della riforma fiscale non farebbe che dimostrare il proprio scarso interesse per le sorti del paese.

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