L’Economist ha titolato in copertina “Britaly”, per dire che la Gran Bretagna sta diventando come l’Italia. Ma l’autorevole settimanale si sbaglia: la Gran Bretagna è già messa peggio dell’Italia. Sono tempi difficili per tutti, ma chi ha vissuto per qualche anno a Londra non può trattenere in questi giorni un sorrisetto di soddisfazione. Ci guardavano con quell’aria di superiorità per le continue crisi, le cene eleganti del capo del governo, il debito che aumentava nell’indifferenza generale, la crescita stagnante. Ed ora eccoli lì, con la paura di diventare come noi senza neppure accorgersi che lo sono già diventati, e ci hanno persino superati.
L’ambasciatore italiano a Londra, Inigo Lambertini, ha scritto una garbata lettera all’Economist, che a corredo del titolo ha usato “il più vecchio degli stereotipi”, la forchetta e gli spaghetti, per auspicare che nella prossima copertina il settimanale scelga un’immagine «dai nostri settori dell’aerospazio, del biotech, dell’auto e della farmaceutica». Ha fatto bene. Se temono di diventare come l’Italia, che almeno ne imitino le eccellenze, visto che gli spaghetti non impareranno mai a farli.
Ci lamentiamo con buone ragioni della scarsa qualità della nostra classe politica, ma gli ultimi tre primi ministri britannici si sono dimessi uno dopo l’altro per manifesta incapacità (May e Truss) e per aver violato la legge (Johnson). L’ultima leader scelta dai conservatori, che doveva essere il meglio che potevano esprimere, passerà alla storia solo per l’umiliante record del più breve tempo trascorso al governo. Il suo partito, che è al potere da dieci anni, è nel caos: non ha più un leader riconosciuto, non ha una strategia né un programma, e chi siede in Parlamento pensa solo a come convincere gli elettori del suo collegio a confermarlo nelle elezioni previste fra due anni, ma quasi certamente molto prima. Il Guardian scriveva ieri che altri due anni così non sono concepibili, e che l’esperimento compiuto dai Tory è morto, sepolto da Cameron che ha attivato la Brexit, da May e da Johnson che l’hanno attuata con grande incompetenza, e da Truss, che sognava di essere la nuova Thatcher, ma invece di durare 15 anni come lei, ha dovuto andarsene dopo 44 giorni.
Il Paese paga oggi il conto degli errori della sua classe dirigente.
Invece di ridurre le tasse come diceva di voler fare Truss, il nuovo governo le dovrà aumentare e bisognerà tagliare le spese nella sanità e nell’istruzione. Le strade sono già piene di buche come quelle di Roma. Truss, come alcuni populisti italiani, voleva tagli di tasse per 45 miliardi di sterline senza spiegare dove avrebbe preso i soldi per coprire il deficit nei conti dello Stato. Il rapporto tra Pil e debito della Gran Bretagna è vicino al 100% e si prevede che arriverà al 130% tra pochi anni. Come noi, anche loro non sanno più come ridurlo, perché bisognerebbe che qualcuno andasse al governo promettendo di nuovo solo sudore e lacrime, come fece Churchill, mentre è più facile raccogliere voti con programmi che aumentano la spesa. Mancano statisti, abbondano i politici opportunisti il cui orizzonte non va oltre le prossime elezioni, e solo con quelli nessun Paese oggi può salvarsi.