Approda oggi in Consiglio dei ministri, dopo essere stato presentato alle parti sociali, il cosiddetto “bonus” occupazione. Il nome, non si sa se proposto da politici poco accorti o da giornalisti poco fantasiosi, non è certo tra i più fortunati, almeno in questo periodo. Negli ultimi mesi, leggi di bilancio, Def e Note di aggiornamento hanno penato alla ricerca di risorse sottratte da altri e ben più noti bonus e superbonus (in quei casi, edilizi): forse, quindi, l’opinione pubblica farebbe volentieri a meno di confrontarsi con un’altra creatura di questo tipo. Tolta l’infelice terminologia, tuttavia, che cosa davvero contiene questa misura? E, soprattutto, in un periodo dove l’Istat ripetutamente certifica cifre da record sul lavoro, c’era davvero bisogno di dedicare risorse per favorire l’occupazione? La risposta, malgrado lo scetticismo di qualcuno, è affermativa. Visti i tempi, però, vale la pena di spiegare il perché. È vero, infatti, che il tasso di occupazione italiano è ai massimi storici. Ma, come tutte le statistiche, si tratta spesso di dati (eccessivamente) aggregati o di medie che nascondono situazioni molto diverse tra di loro. In Italia è del tutto fuorviante parlare di “mercato del lavoro”: perché di mercati del lavoro ce ne sono diversi e ognuno con caratteristiche specifiche. Il paese è vario, territorialmente ma non solo. I giovani, in particolare gli under 35, fanno molta più fatica a trovare un posto di lavoro rispetto ai più adulti.
E le donne, che pure hanno aumentato negli anni il loro tasso di partecipazione, continuano con difficoltà sia a fare una carriera adeguata alle proprie competenze e ambizioni sia, addirittura, a mantenere la propria occupazione. E ciò a causa, principalmente, della discontinuità delle proprie carriere dovuta alle scelte riproduttive. Un’ingiustizia che caratterizza tutti i paesi ma il nostro ancora di più. E i numeri di questo fenomeno sono impressionanti, per non dire imbarazzanti: circa il 20% delle lavoratrici lascia il posto di lavoro dopo il primo figlio e addirittura oltre il 50% lo fa dopo il secondo. Un valore, due figli, che, senza giudicare nessuno e solamente dal punto di vista squisitamente demografico, dovrebbe essere la norma per mantenere la popolazione in equilibrio. Una politica occupazionale generalista, che premi qualunque tipo di assunzione, sarebbe altamente inefficiente. Da un lato, infatti, trasferirebbe risorse a chi aveva già deciso di assumere anche senza incentivo; dall’altro, non ridurrebbe di un minimo la disuguaglianza di trattamento sul mercato del lavoro.
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