Angelo De Mattia
Angelo De Mattia

Il costo del denaro/La stretta della Bce che non aiuta la crescita

di Angelo De Mattia
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Venerdì 5 Maggio 2023, 00:20 - Ultimo aggiornamento: 6 Maggio, 00:15

Un nuovo impatto, sia pure minore di alcune previsioni, sul costo del denaro in Europa che da ieri arriva fino al 4%. Se si parte dal presupposto che le prospettive di inflazione continuano a essere troppo elevate e per troppo tempo, come afferma il comunicato del Consiglio Direttivo della Bce, allora bisogna ritenere che l’aumento dei tassi di riferimento di 25 punti rappresenta l’opzione meno dura. A maggior ragione se poi si osserva che l’intensità della trasmissione all’economia reale della stretta rimane incerta, finendo però con il dare minor valore a uno dei pilastri su cui si basa l’azione di Francoforte: quello, appunto, dell’intensità di trasmissione. Una prova del fatto che il messaggio sulla stretta fatica a farsi strada è il prezzo della pasta in Italia, che invece di scendere nonostante il crollo del costo del grano (fino al 30%), a marzo è cresciuto del 17,5%: ciò è sicuramente frutto di una forte componente speculativa, che probabilmente richiederebbe ben altri interventi da parte delle autorità. E’ però il segno che la stretta monetaria non può essere la sola manovra contro l’inflazione.


Per tornare alla decisione di ieri, si poteva fare diversamente? Sì, anche se il recente pur lieve aumento dell’inflazione nell’Eurozona dal 6,9 al 7% ha potuto rappresentare una remora a imboccare l’opzione di una pausa nella stretta. Ma ogni dubbio è stato sgombrato dalla presidente Christine Lagarde, che ha tenuto a precisare che non si sta compiendo una pausa, se mai qualcuno fraintendesse. Anzi la Bce è determinata a continuare il percorso restrittivo per portare i tassi al target del 2% coerente con il mantenimento della stabilità dei prezzi. Ha di nuovo usato le espressioni «tempestivo» e «tempestivamente», finora adottate per indicare l’impegno a raggiungere l’obiettivo in questione, ma si continua purtroppo a restarne ben lontani. Alla fine, ci si è allineati alla Federal Reserve che ha deciso mercoledì lo stesso aumento di 25 punti, ma con una ben diversa situazione dell’inflazione e dell’occupazione negli Usa, lasciando però intendere, all’opposto di Francoforte, che si profila un pausa nella restrizione.


Il Direttivo della Bce ha altresì deliberato la fine, a giugno, del programma di acquisti di bond (Ppa) ora in corso di riduzione per 15 miliardi mensili, mentre per l’altro programma, quello per l’emergenza pandemica (Pepp), continueranno i reinvestimenti fino al fine del 2024.

Si stima un rientro totale di circa 25 miliardi al mese. Insomma, l’aumento dei 25 punti va affiancato alla fine del programma di nuovi acquisti di titoli, in linea generale già programmato, ma che avrebbe pur potuto essere prorogato per avere così un’intonazione più restrittiva del governo della moneta. Le frasi che vengono pronunciate sulla possibilità che la Bce impieghi tutti i mezzi disponibili all’occorrenza e per ribadire ancora che «si guarderà ai dati, meeting dopo meeting» per le misure dei prossimi mesi, dicono tutto e niente: è una ripetizione che sembra ormai diventata una clausola di stile. Ma ci si deve pur chiedere perché i risultati delle misure fin qui adottate sono largamente insoddisfacenti. Per fare un passo in più, Lagarde si rivolge ai governi e rappresenta l’esigenza che essi abroghino i provvedimenti adottati per contrastare la crisi energetica e che si fronteggino le spinte sulle negoziazioni salariali, tenendo conto altresì dell’aumento dei margini dei profitti. Una visione, questa, di restrizioni a 360 gradi che certamente non può essere accolta perché così afferma la signora Lagarde.

Allora, se c’é un’esigenza di raccordi, di concertazioni - come la stessa presidente fugacemente prospetta - occorre che si risponda con un Patto a livello europeo e ai livelli nazionali, alla cui base vi sia il contrasto dell’inflazione senza però mortificare crescita e lavoro. Una strategia alla quale concorrano su di un piano di parità politica economica e di finanza pubblica, politica monetaria e politica dei redditi, di tutti i redditi, come diceva Carlo Azeglio Ciampi. La politica monetaria può, ma non può tutto: lo sta dimostrando, dopo gli errori gravi compiuti nel tardare l’azione di anticipo anti-inflazione. Allora occorre rispondere con una nuova, più forte terapia, all’altezza delle difficoltà da affrontare che non sono rappresentate solo nell’aumento dei prezzi, ma sono costituite anche dagli impatti della guerra, dalle difficoltà geopolitiche, dall’esigenza di affrontare la transizione ecologica, dai problemi delle migrazioni. Spetta pure al governo della moneta di non trascurare questo contesto.

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