Ridefinire il sistema di welfare è una delle principali sfide per il nostro Paese. Per innovare le risposte sociali è necessario partire dai territori e dalle realtà che li vivono. Dalle imprese agli enti pubblici, dalle associazioni di volontariato fino alle cooperative sociali. Negli ultimi anni si è diffuso il termine “secondo welfare” per descrivere iniziative e progetti che promuovono reti e collaborazioni tra soggetti differenti per proporre soluzioni diverse da quelle tradizionali. Ed è proprio dal “secondo welfare” che sono sorte risposte innovative ai bisogni sociali. L’impresa sociale, ad esempio, ha fatto enormi passi avanti sul fronte dei servizi alla persona. Grazie alle professionalità e alle competenze di chi opera in questo campo si sono diffusi servizi e iniziative che si adattano alle peculiarità dei territori e ai bisogni delle famiglie. In molti casi il Terzo Settore sta cercando di sfruttare le opportunità date dalla co-progettazione e dalla co-programmazione, che hanno dato nuova linfa al dialogo e al confronto con le Pubbliche amministrazioni, ma anche ai percorsi di co-design dei servizi sociali. In altri casi, invece, ha fatto leva sulla digitalizzazione e sull’apertura verso nuovi mercati. Va detto che lo scopo del welfare aziendale è quello di rispondere a bisogni sociali delle persone. Gli enti del Terzo settore, quindi, avrebbero pieno titolo per ricoprire un ruolo da protagonisti in questo ambito. Sono, infatti, le realtà che sui territori erogano servizi alla persona in nome e per conto delle pubbliche amministrazioni, rispondendo a gare o accreditamenti, e sono i più qualificati in termini di requisiti formali e di prossimità territoriale. Pensiamo ai servizi per l’infanzia, come il dopo-scuola, oppure per l’adolescenza, come i percorsi di ascolto e sostegno psicologico per i ragazzi o, ancora, ad attività di cura per persone anziane o non autosufficienti.
OLTRE LA PIATTAFORMA
Eppure, il protagonismo o il coinvolgimento di questi attori all’interno di piani di welfare aziendale non è facile. Richiede la presenza di professionisti – che operano a livello aziendale o territoriale – capaci di definire le strategie per cui un piano di welfare possa generare impatto sociale. In questa direzione si sta diffondendo la figura del welfare manager, un profilo con competenze trasversali che dialoga con i lavoratori e le loro famiglie, per coglierne le necessità e individuare le risposte più appropriate. Così si può andare oltre la piattaforma “preconfezionata”, facendo invece accordi con fornitori del territorio, in modo da privilegiare il welfare aziendale a “Km0” e l’integrazione dei servizi e delle diverse forme di welfare: pubblico, territoriale e aziendale.
ASCOLTARE I BISOGNI
Anche in questo caso sono nate soluzioni e proposte per aiutare le aziende. Una delle ultime è WIN - What I Need: un applicativo digitale ideato da Walà e Percorsi di secondo welfare attraverso cui le organizzazioni possono conoscere in maniera precisa e dettagliata i bisogni dei loro collaboratori. Si tratta di un questionario “adattivo”, cioè in grado di cambiare in base ai bisogni che una persona esprime e, di conseguenza, di approfondire quelle aree di necessità in cui si hanno carichi più evidenti. I dati raccolti sono poi elaborati e messi a disposizione dell’ufficio delle risorse umane e al management dell’impresa, che può consultarli tramite una dashboard per ideare politiche e soluzioni adatte al proprio contesto. In conclusione, la sfida di innovare il welfare aziendale, tenendo la barra dritta su capacità ed efficacia di risposta ai bisogni sociali, ha bisogno di alcuni ingredienti fondamentali: sinergia tra aziende, territorio ed enti del terzo settore, capacità di ascolto e co-creazione delle risposte su misura, innovazione degli strumenti, sia in termini di digitalizzazione sia in termini di processi.
ceo di Walà srl SB