Imprese Made in Italy: il passaggio alle nuove generazioni è un tema di mediazione culturale

Imprese Made in Italy: il passaggio alle nuove generazioni è un tema di mediazione culturale
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Lunedì 29 Aprile 2024, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 14 Maggio, 09:00

SAPG Legal è uno studio legale che si occupa del passaggio generazionale di un’impresa e, tra le recenti azioni, ha intrapreso la partnership con WDA, l’azienda co-fondata da Roberto Macina che supporta startup e PMI nello sviluppo del loro business. Intervista a Giovanni Alessi, partner di SAPG Legal

“Il tema del passaggio generazionale è complesso e sopratutto non è solo di tipo giuridico ma attiene innanzitutto a un problema di mediazione culturale. Bisogna lavorare congiuntamente con formatori, tutor e consulenti per far incontrare culture imprenditoriali differenti. Oggi l’anima di un’azienda che si tramanda di padre in figlio deve fare i conti con l’intelligenza della macchine e con una velocità del progresso che dobbiamo imparare a fronteggiare per aiutare le nostre imprese nel passaggio generativo e i nuovi imprenditori che intraprendono queste sfide. Se non ci si rimbocca le maniche, si è costretti a vendere”. Non ha dubbi Giovanni Alessi, partner di SAPG Legal nel commentare i dati di Confindustria per i quali soltanto il 20% delle imprese familiari sopravvive alla seconda generazione, percentuale che scende al 13% per la terza generazione, fino ad un esiguo 4% di aziende che arrivano alla quarta.

Giusto per contestualizzare il vostro operato, nell’ultimo anno quante sono le imprese gestite dalle nuove generazioni a cui avete dato supporto?

Questo tipo di consulenza rientra nel nostro core business. Nell’ultimo anno abbiamo lavorato con una trentina di imprese che hanno affrontato un passaggio generazionale e sul piano più generale delle attività che seguiamo sono diventate circa il 50%, 60% delle aziende. Come possiamo vedere è infatti una questione particolarmente significativa di questo momento storico e investe diversi settori, tra cui quello dell’AI.

Quello dell’imprenditoria è ancora un mondo prevalentemente maschile o negli ultimi anni stiamo assistendo a un’inversione di tendenza?

Purtroppo, per la mia esperienza, è un mondo ancora prettamente maschile. Tuttavia se vogliamo parlare di un’inversione di tendenza questa può essere però osservata in maniera analitica: certamente, sono molte di più le donne imprenditrici che stanno facendo partire nuovi progetti ma si tratta di servizi ordinari, infatti il gender gap aumenta per le attività dedicate all’innovazione, quelle che necessitano di maggiore formazione, sperimentazione, investimento e rischio. In rapporto agli USA per esempio, la percentuale è più alta. In Italia, i due macro problemi afferiscono da un lato allo sviluppo dei network all’interno delle aziende ancora dominati dagli uomini, dall’altro le percentuali di iscritte alle materie STEM sono ancora molto basse, crescono invece nelle discipline giuridiche.

La nuova imprenditoria da quali categorie di giovani è composta e perché la loro preparazione spesso non è all’altezza?

A differenza degli Stati Uniti, contesto in cui lavoriamo, i giovani in Italia comprendono la fascia dei 35-45 enni e stanno, ultimamente, scalfendo le dinamiche familiari complesse.

Noi siamo un Paese che si poggia sulle imprese familiari ma il tema dell’intelligenza generativa sta ponendo nuove problematiche: questi “giovani” sono padri di famiglia che pur avendo competenze sperimentali in materia di digitalizzazione e AI non riescono però ad applicarle ai contesti ereditati e sviluppati su codici completamente diversi in cui il padre svolge un ruolo accentratore.

Quali sono i modelli scelti? Si prosegue con quello ereditato dalla conduzione familiare o lo si trasforma in altro?

Questo passaggio è molto difficile ma sto notando un profondo cambiamento da ricondurre alle nuove skills apprese all’estero che riescono a modificare l’impianto familiare. Ciò può avvenire attraverso l’acquisizione dell’azienda paterna da parte del figlio oppure, al momento dell’ingresso del figlio, questo impone il suo modello modificando l’assetto imprenditoriale del padre.

Pro e contro del contesto italiano

In Italia, tutti i grossi cambiamenti sono avvenuti nei momenti di crisi: abbiamo infatti una grande capacità di reinvenzione e forza adattiva. Il nostro paese offre opportunità basate su industrie manifatturiere di grande livello e nell’ambito del turismo. Per quanto riguarda tecnologia e manodopera a basso costo, non siamo all’altezza perché veniamo superati da paesi come la Cina, mentre sulla qualità del prodotto e dei nostri professionisti abbiamo un brand che rende molto. Il Made in Italy è forte ed è richiesto ma siamo indietro rispetto al tema burocratico e all’investimento digitale per il quale il problema non è solo italiano ma anche europeo.

Nuove figure imprenditoriali quindi maggiore attenzione al contesto in cui viviamo caratterizzato da responsabilità sociale e ambientale?

L’importanza del movimento culturale di sensibilizzazione alla sostenibilità è un dato centrale ma questa attenzione rischia di rimanere solo una pubblicità se non diventa produttiva. Abbiamo le possibilità di spingere sulla filiera della sostenibilità: molte aziende sono sostenibili nel prodotto finale ma non nei passaggi che portano alla realizzazione. Il tema della sostenibilità deve diventare un approccio sistemico e fattivo.

Per questo aspetto la consulenza che ruolo possiede e quanto l’impianto normativo rischia di impedire l’applicazione di normative finalizzate alla sostenibilità?

I professionisti devono collaborare insieme ai consulenti: le energie messe in campo sono tante ma vengono disperse. La cultura personale è diversa dalla cultura imprenditoriale, bisogna invece puntare sul team per facilitare i processi affinché la sostenibilità non si poggi su criteri soggettivi, difficilmente interpretabili, ma produttivi e validi per tutto il sistema, a prescindere dai valori etici e morali.

Lucia Medri

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