2° Rapporto Sistema sanitario Eurispes-Enpam: gli italiani spendono “di tasca propria” circa 40 mld di euro

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Giovedì 22 Giugno 2023, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 5 Luglio, 07:00

La ricerca Il Termometro della Salute, promossa dall’Osservatorio Salute, Legalità e Previdenza Eurispes-Enpam, torna a proporre, a quasi cinque anni dalla sua prima uscita, un tentativo di complessiva lettura della realtà e delle prospettive del Sistema Sanitario Nazionale

Le decurtazioni del Fondo Sanitario Nazionale

Per almeno 15 anni il Fondo Sanitario Nazionale ha subìto successive decurtazioni nello spirito delle spending review avanzate per assestare i conti pubblici. Ciò ha prodotto un depotenziamento progressivo delle capacità prestazionali e il declassamento del nostro Paese nelle classifiche mondiali del rapporto tra investimento in sanità pubblica e Pil. Nel 2019, anno spartiacque perché non ancora toccato dalla pandemia, la quota del Pil riservata alla Sanità era scesa al 6,2%, alla quale i cittadini aggiungevano un 2,2% di spesa diretta. La media nell’Europa a 27 era rispettivamente il 6,4% e 2,2%, ma in Germania 9,9% e 1,7%, in Francia 9,4% e 1,8%, in Svezia 9,3% e 1,6%. Ciò significa che l’investimento pubblico in Sanità in Germania e in Francia è di più di un terzo superiore a quello italiano. Dunque, dopo il triennio “straordinario”, che ha visto appostare le risorse necessarie per affrontare la pandemia e la campagna di vaccinazioni (per altro, solo in parte ad oggi erogate), con l’ultima Legge di stabilità la quota del Pil riservata al Ssn è tornata a scendere, tendendo a quel minimo storico collocato intorno al 6%. In un decennio sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro alla Sanità pubblica, di cui circa 25 miliardi nel periodo 2010-2015, in conseguenza di “tagli” previsti da varie manovre finanziarie e oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019, in conseguenza del “definanziamento” che, per obiettivi di finanza pubblica, ha assegnato al SSN meno risorse rispetto ai livelli programmati (dati Fondazione Gimbe).

L’invecchiamento del capitale umano e il precariato: un problema che sta per esplodere

Per medici, infermieri e altre figure professionali di supporto al Ssn, il mancato turn-over e il reiterato blocco delle assunzioni hanno prodotto anche sacche di precariato inconciliabili con la continuità assistenziale. Ma, prima di tutto, ha generato il forte invecchiamento del capitale umano sfociato in un alto numero di pensionamenti. Questo fenomeno, che già ha eroso il numero dei professionisti, è destinato a esplodere nei prossimi anni e investe anche l’area della sanità privata. Nel 2019 i medici in Italia erano presenti in quota pari a 4,05 su 1.000 abitanti; un dato questo di poco inferiore alla Spagna (4,4) e alla Germania (4,39), e superiore alla Francia (3,17). La quota di infermieri (circa 6,16 ogni 1.000 abitanti; con un 1,4 infermieri per ogni medico) colloca l’Italia agli ultimi posti della classifica dei paesi Ocse. L’“anagrafe” della classe medica parla chiaro: molti professionisti mediamente attempati, spesso anziani, e pochissimi giovani. Più della metà dell’intera classe medica italiana (56%) in maggioranza i medici tra i 55 anni e gli over 75 tra un quinquennio non saranno più operativi.

I medici “giovani”, ovvero sotto i 35 anni, sono in Italia solo l’8,8%, contro percentuali superiori al 30% in Gran Bretagna, Olanda e Irlanda, o comunque superiori al 20% in Germania, Spagna e in Ungheria. La Francia, che per gli under 35 mostra un dato meno lontano dal nostro, presenta comunque un 15,7% di under 35: quasi il doppio dell’Italia.

Mancano i medici di base

Analizzando i dati Agenas, emerge che nel triennio 2019-2021 si sono “persi” in Italia 2.178 medici di medicina generale e 386 pediatri di libera scelta: in percentuale più del 5%. Dal momento che ogni medico di base assiste una media di cittadini superiore ai 1.000 e che i medici più anziani spesso sfiorano o addirittura sforano il massimale di 1.500 assistiti, ciò ha significato che circa 3.000.000 di cittadini sono rimasti senza medico di base. Anche per le professioni infermieristiche l’età media degli attuali infermieri attivi è di circa di 47 anni, ma ogni 6 mesi questa età media si alza di una annualità. In un decennio, dunque, a meno di un forte turn-over, la già denunciata penuria muterebbe in una vera e propria carestia.

Offerta sanitaria, divario Nord Sud

I tassi medi annui di turn-over sono molto diversi tra le Regioni del Nord e quelle del Centro-Sud. Toscana, Emilia-Romagna e Veneto anche negli anni duri della spending-review sono state in grado di sostituire integralmente il personale andato in quiescenza e addirittura ad aumentarlo. La Lombardia ha sostanzialmente mantenuto gli organici. Il Piemonte li ha leggermente diminuiti. Tutte le altre Regioni sono accomunate dal fatto di essere ancora sotto piano di rientro e di aver presentato un tasso medio di turn-over, tra il 2012 e il 2017, inferiore al 70%. Dal 2022 al 2027 il Sistema Sanitario Pubblico perderà ogni anno una media di 5.866 medici dipendenti, e una media di 2.373 medici di medicina generale. Per l’intero quinquennio vanno calcolate le uscite di 29.331 medici dipendenti, e di 11.865 medici di base. Rispetto agli attuali organici, per entrambi i comparti si tratta di perdite di poco inferiori al 30%.

La spesa medica

Gli italiani spendono “di tasca propria” in salute per prestazioni e farmaci in tutto o in parte (pagamento di un ticket) non coperti dal SSN annualmente quasi 40 miliardi di euro, raggiungendo una quota del Pil superiore al 2%. A ciò si aggiunga l’intensificarsi della “mobilità sanitaria”, generato dalla necessità di rivolgersi a strutture pubbliche di altre Regioni per ottenere prestazioni del SSN di fatto non erogabili nel territorio di residenza a causa dei deficit strutturali della sanità regionale di appartenenza. Questa “mobilità sanitaria” nel triennio del Covid si è contratta, a causa delle restrizioni nella libera circolazione e dell’appesantimento della maggior parte delle strutture sanitarie pubbliche; ma considerando i dati del 2018 emergono forti squilibri territoriali relativamente ai pazienti “in “ingresso” e in “uscita” tra le diverse Sanità regionali. Le Regioni con un saldo attivo sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, e quelle che invece depauperano il loro budget sanitario sono quasi tutte le rimanenti Regioni centro-meridionali. Oltre all’appesantimento dei “conti economici” delle singole sanità regionali, la “mobilità sanitaria” fa emergere la gravità del fenomeno rappresentato da quasi 1,5 milioni i cittadini che nel 2018 per curarsi hanno dovuto rivolgersi al di fuori della regione di residenza. Le serie storiche delle indagini campionarie dell’Eurispes evidenziano un trend da cui emerge che un quarto delle famiglie italiane denuncia difficoltà economiche relativamente alle prestazioni sanitarie. Relativamente al 2022 questa difficoltà si conferma maggiore soprattutto per i cittadini delle regioni meridionali (28,5%) e delle Isole (30,5%). Inoltre, un terzo dei cittadini (33,3%) afferma di aver dovuto rinunciare a prestazioni e/o interventi sanitari per indisponibilità delle strutture sanitarie. I dati del 2023 confermano questo andamento e lo indicano in aumento.

Sanità pubblica e territorio: confronto tra Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna

I sistemi sanitari di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono da considerare tra i migliori in Italia e nell’intera Unione europea. Questi sono stati presi da modello nel Rapporto per individuarne le differenze, anche strutturali, che li hanno spinti ad adottare strategie diverse che hanno manifestato una diversa efficacia nel contenimento della diffusione dei contagi nel corso della pandemia. Il sistema sanitario della Lombardia ha affrontato la diffusione della malattia privilegiando una assistenza incentrata sul ricovero ospedaliero, e meno su
di una rete di assistenza territoriale che permettesse di mantenere e seguire i pazienti presso il proprio domicilio.
Al contrario, invece, Veneto ed Emilia Romagna hanno mantenuto stabile l’integrazione tra le tre tipologie di assistenza (Terapia Intensiva, Ricoveri Ordinari, Ricoveri Domiciliari), la qual cosa indica che questi due sistemi dispongono strutturalmente di una politica sanitaria meglio bilanciata fra le diverse tipologie di assistenza.

Le criticità del progetto di riforma

L’obiettivo programmato con il Dm 77 dell’apertura in pochi anni di circa 1.350 Case della Comunità comporta uno sforzo logistico enorme che difficilmente la maggior parte delle Sanità regionali sarà in grado di sopportare. Nel corso del 2022 si è assistito a molte “inaugurazioni” di Case della Comunità, ma in realtà si è trattato di strutture preesistenti (poliambulatori, case della salute). Se il Sistema Sanitario Nazionale non sarà messo in grado di programmare e poi assorbire le necessarie professionalità, le Case e gli Ospedali della Comunità rimarranno vuote; mentre la crisi del decisivo comparto della medicina generale si avviterà ulteriormente, gli ospedali continueranno a degradarsi, l’universalità della sanità pubblica continuerà a deperire, si apriranno ulteriori autostrade per la sanità privata e curarsi diverrà una questione di censo. Anche dal punto di vista “culturale”, l’attenzione che il Dm 77 dedica alla telemedicina e alla ottimizzazione delle reti di comunicazione in àmbito sanitario, si scontra con la realtà di molte Regioni per le quali il Fascicolo Sanitario Elettronico è ancora uno strumento sostanzialmente sconosciuto.

L’impegno dell’Osservatorio a monitorare l’avanzamento della riforma

La Missione 6 del PNRR e la piena attuazione del Dm 77 sulla medicina territoriale prevedono degli step temporali già fissati da oggi al 2026, dal rispetto dei quali dipende l’erogazione delle successive tranche del Next Generation EU. Da qui nasce l’impegno dell’Osservatorio Eurispes-Enpam a seguire nei prossimi anni l’intero processo di attuazione della riforma analizzando i passaggi di avanzamento di quanto previsto dal PNRR e la riorganizzazione della medicina territoriale, soprattutto in termini di qualità degli interventi. In questo modo sarà possibile valutarne i livelli di attuazione, segnalare le eventuali esigenze di messa a punto e, complessivamente, verificarne l’aderenza all’Articolo 32 della Costituzione su cui si fonda un Servizio sanitario pubblico e universalistico che realizza il diritto alla salute per tutti: una Sanità che deve continuare a rappresentare, come nel passato, un pilastro essenziale della convivenza sociale.

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