Statali, la Consulta: ritardare il pagamento della liquidazione è incostituzionale

Per la Consulta il differimento contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente

Statali, la Consulta: «Differimento del Tfs incompatibile con la Costituzione»
di Andrea Bassi
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Venerdì 23 Giugno 2023, 15:05 - Ultimo aggiornamento: 24 Giugno, 00:55

I dipendenti pubblici hanno pienamente ragione. Ritardare il pagamento della loro liquidazione, che in gergo si chiama Tfs, trattamento di fine servizio, contrasta con i principi della Costituzione. Ed in particolare con quello della «giusta retribuzione», che non consiste solo nel ricevere pagamenti «adeguati», ma anche «tempestivi». È quanto hanno sentenziato i giudici della Corte Costituzionale (redattrice la giudice Maria Rosaria San Giorgio) nella pronuncia 130 del 2023, resa nota ieri a quasi un mese e mezzo dall’udienza pubblica nella quale si era discussa la questione di legittimità sollevata dal Tar del Lazio su ricorso di un poliziotto e dal tribunale di Velletri su richiesta di un dipendente Mef e del sindacato Confsal-Unsa. 
Non è insomma più «tollerabile» che i dipendenti dello Stato ricevano la loro buonuscita fino a cinque anni dopo il pensionamento. Ma quella degli statali è solo una vittoria per ora parziale. Nonostante abbiano avuto ragione su tutta la linea, la Corte Costituzionale ha dichiarato «inammissibili» i ricorsi e ha rimandato la palla al Parlamento con un invito «pressante» a riscrivere le norme sul pagamento della liquidazione. 
 

 

IL PASSAGGIO
Per la Corte tocca al legislatore decidere su una materia così delicata.

Soprattutto per i conti pubblici. L’Inps, come ricorda la Consulta nel suo dispositivo, ha quantificato in 14 miliardi di euro l’esborso dello Stato per versare immediatamente la liquidazione ai dipendenti pubblici. Ed è proprio per l’imponente somma che deve essere messa a carico delle casse pubbliche che tocca al Parlamento e al governo trovare una soluzione. Questo nonostante poche settimane fa il presidente uscente dell’Inps, Pasquale Tridico, avesse ritenuto l’importo «sostenibile» per il bilancio dell’Inps che si è chiuso lo scorso anno con un avanzo di 7 miliardi di euro e un attivo patrimoniale di 23 miliardi. 


Comunque sia i giudici della Corte suggeriscono al governo e al Parlamento di pensare a misure che garantiscano una «gradualità». Non tutti i 14 miliardi insomma, vanno trovati immediatamente. Si potrà anche procedere per step, magari partendo dagli statali con i redditi più bassi. La Consulta ha deciso dunque di non mettere sotto pressione il governo con un esborso immediato che avrebbe compromesso la prossima manovra di bilancio che già si preannuncia complicata. Con un avvertimento però: non pensino il governo e il Parlamento di temporeggiare di nuovo. La questione va risolta e a stretto giro. «Non sarebbe tollerabile», scrivono i giudici, «l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa». Le ragioni di questo monito sono chiare. C’è un precedente. Nel 2019 la Corte Costituzionale aveva già sentenziato sul pagamento in ritardo del Trattamento di fine servizio degli statali. E aveva detto una cosa molto chiara. Pagare in ritardo la liquidazione può essere ammissibile solo in caso di un lavoratore che va in pensione anticipata, usando per esempio lo scivolo di Quota 100. Lo Stato può usare questo strumento per “scoraggiare” i prepensionamenti nel comparto pubblico. Ma se un dipendente lascia il lavoro a 67 anni o con il pieno dei contributi, avevano già scritto i giudici, allora il pagamento della liquidazione non può essere ritardato.


IL PRECEDENTE
In quella sentenza i giudici avevano già invitato il Parlamento a legiferare risolvendo il problema, ma dopo quattro anni quel monito è rimasto una lettera morta. Perché questa volta dovrebbe essere diverso? Difficile dirlo. Il richiamo dei giudici, rispetto al 2019, appare perentorio. Non c’è più la spada di Damocle di una nuova possibile sentenza, ma con una sentenza così netta per i dipendenti sarebbe facile farsi dare ragione dai giudici del lavoro. Inoltre, rispetto al 2019 è cambiato il quadro economico. 
Quattro anni fa il mondo era in deflazione, i tassi di interesse erano negativi, la liquidità abbondante. Oggi l’inflazione corre, i tassi sono sempre più elevati e ottenere prestiti e mutui è sempre più difficile. I giudici della Consulta non possono fare a meno di notare, e di far notare, che siamo in presenza di un «quadro macroeconomico in cui il sensibile incremento della pressione inflazionistica acuisce l’esigenza di salvaguardare il valore reale della retribuzione, anche differita». Insomma, pagare tra cinque anni 50 mila euro a un dipendente pubblico è cosa ben diversa da dare subito a quello stesso dipendente i 50 mila euro. Una considerazione quasi banale. E a poco servono le norme introdotte sull’anticipo bancario del Tfs, l’accordo sottoscritto tra il governo e l’Abi che permette di ottenere subito i soldi versando un tasso di interesse pari al Rendistato aumentato di uno spread dello 0,4 per cento e che oggi si traduce in costo di oltre il 4 per cento per vedersi anticipati i soldi della propria liquidazione. Anche qui ci vuole poco a capire e a sentenziare, come ha fatto la Consulta, che non si tratta di una misura «risolutiva». Il prossimo intervento dovrà avvenire su basi decisamente più solide.

 

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