Banche sotto stress nella mostra Ue-Bce

Banche sotto stress nella mostra Ue-Bce
di Rosario Dimito
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Venerdì 25 Dicembre 2015, 17:35
Coperto nel segno delle banche entrate nel raggio indagatore della Vigilanza Bce e con la prospettiva di fusioni alimentate dalla riforma delle popolari, il 2015 si chiude con il sistema-credito nuovamente nel mirino fra scontri fra Roma e Bruxelles e polemiche tra governo e authority di vigilanza. Resta il fatto che un salvataggio - quello delle quattro banche fallite - che avrebbe potuto avvenire attraverso il Fondo depositi senza quasi danno per alcuno, a causa di argomenti speciosi sollevati dalla Commissione Ue sul tema degli aiuti di Stato è finito per costare alle banche italiane 2,35 miliardi, ai quali si aggiungono 100 milioni destinati a ristorare gli investitori meno tutelati.

Tutto ciò in un turbine di accuse e scarica-barile che ha coinvolto le più alte istituzioni, seminando nuove ondate di sfiducia nella comunità dei risparmiatori-investitori. E nel frattempo di fusioni tra le popolari neanche l’ombra: evidentemente più dei vantaggi industriali fanno ancora premio le logiche localistiche, di campanile e di poltrone. Sicché l’anno si chiude senza annunci e con una sola operazione in fase avanzata: l’ipotesi di aggregazione tra Bpm e Banco Popolare con Ubi alla finestra qualora le nozze fallissero.

CRITICITÀ CON I REGOLATORI
Ad oltre un anno dall’avvio della Vigilanza Unica della Bce e a fronte di uno straordinario impegno, anche organizzativo, da parte delle banche emerge che il rapporto con il regolatore unico ha forti elementi di criticità, per questioni di prassi e modalità di interazione, ma anche di impostazione generale. Sotto il primo fronte, l’anno agli sgoccioli è stato caratterizzato dalla conduzione, per la prima volta sotto la Bce, degli Srep (Supervisory review and evaluation process), cioè del processo di revisione e di valutazione prudenziale degli istituti. Ebbene, durante questa ennesima tornata di esami, si sono manifestati problemi di trasparenza e sovrapposizioni varie.

L’ANSIA DELLA NOUY
Tre i problemi di trasparenza: 1) non sono state recepite le osservazioni dell’industria durante la consultazione pubblica sulla metodologia (rispetto a quanto accaduto nel Regno Unito); 2) il manuale di vigilanza è stato mantenuto segreto e quindi non sono pubbliche le modalità di attuazione; 3) non sono state fornite informazioni approfondite agli istituti. I banchieri italiani ritengono sia giusto che la Vigilanza preservi la riservatezza dei risultati, ma ci vuole più trasparenza sulle metodologie. Inoltre, lamentano non siano state dettate regole chiare e comuni in tutti i Paesi per la diffusione pubblica degli esiti, soprattutto per le banche quotate in Borsa.

Sotto il fronte dell’impostazione più generale della ri-regolamentazione post-crisi, i banchieri si sentono perseguitati dalla Vigilanza europea guidata da Danièle Nouy che esaspera le richieste sui livelli di capitale (mutevoli nel tempo) in un contesto in cui si consolida il convincimento che all’aumento del capitale non ci sia mai fine: negli ultimi otto anni le banche italiane hanno raccolto sul mercato oltre 40 miliardi. C’è da dire che all’interno della Bce ci sono alcuni illuminati come Fabio Panetta, vicedirettore generale di Bankitalia che non perdono occasione per contestare le tesi della Nouy per la «mancanza di chiarezza regolamentare», in ciò supportato dal governatore Ignazio Visco: posizioni però purtroppo relativamente isolate, in un deserto dominato dalla fallace supremazia tedesca.

Le banche stanno facendo il possibile per supportare la ripresa con l’erogazione di nuovi prestiti in comparti quali il mercato dell’acquisto di case e i finanziamenti alle imprese: basti dire che a novembre gli impieghi sono cresciuti a 1.818 miliardi. L’operatività è però resa difficile da vincoli e strettoie. Eccone alcune poste dalla Ue: la possibile rimozione della norma che ha favorito il credito alle pmi (Sme supporting factor) e il pericolo di elevazione degli assorbimenti di capitale su mutui con un rapporto finanziamento/valore della casa superiore al 35%.

C’è ben di più, soprattutto se si considera che l’emanazione di regole e prassi di vigilanza adottate a livello europeo si concentra esclusivamente sul rischio degli attivi creditizi. Basti dire che la proposta del Financial Stability Board che potrebbe portare i coefficienti patrimoniali delle banche a rilevanza sistemica (Unicredit) anche su valori superiori al 20%, sono una penale che impatterà su banche che forniscono oltre 1.000 miliardi di finanziamenti all’economia europea; inoltre, la proposta dell’Eba di abbassare le soglie per cui un finanziamento in ritardo di rimborso (past due) deve essere incluso tra i crediti deteriorati (determinando un raddoppio dell’ammontare delle esposizioni scadute nei confronti delle imprese e famiglie, stimabile in circa 15 miliardi) e la possibile contabilizzazione di circa 50 miliardi di prestiti nei confronti della Pa tra i prestiti deteriorati; e ancora, le proposte del Comitato di Basilea che renderebbero molto più oneroso in termini di assorbimenti patrimoniali il finanziamento erogato alle imprese.

A ciò si aggiunga l’ipotesi di proposta del Comitato di Basilea che prospetta un assorbimento patrimoniale a fronte della sottoscrizione da parte delle banche di titoli di Stato con il conseguente rischio di una minore capacità delle banche di contribuire alla sottoscrizione delle emissioni. Con evidenti impatti sull’Italia che ha uno dei debiti più elevati nel mondo.

UNA BRUTTA VICENDA
Infine, non per ordine di importanza ma per la scala cronologica, la bufera sollevata dal risparmio tradito in conseguenza dei bond subordinati andati in fumo per salvare le quattro banche di cui scriviamo all’inizio. «Ci vuole certezza anche prospettica di diritto - dice Antonio Patuelli - dopo la scoperta dell’esistenza di norme retroattive come quelle sui subordinati». Una speculazione anche mediatica ha cercato di indebolire la credibilità di Bankitalia e Consob per una presunta omessa vigilanza, sottovalutando che la circostanza che le due Authority non disponevano di poteri di intervento. Insomma, una brutta vicenda dove si è sfiorato lo strappo istituzionale tra Authority e governo che invece avrebbero dovuto mostrarsi uniti per dare all’Italia più forza contrattuale in Europa che è il vero interlocutore con cui competere.
 
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