Alessandra Ferri: «Sono stata molto sola. Dopo il divorzio mi è mancato qualcuno con cui convidivere le emozioni»

La ballerina musa dei più grandi coreografi al mondo: «Insegnerò ai giovani che la disciplina è anche forza e che noi siamo al servizio del talento»

Alessandra Ferri
di Simona Antonucci
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Mercoledì 27 Dicembre 2023, 10:12 - Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 15:03

Vienna? La conosco poco. E con la compagnia della Wiener Staatsoper non ho mai danzato. Ma un valzer a Capodanno...

Dopo 40 anni di carriera, dovrei riuscire a ballarlo», risponde scherzando Alessandra Ferri. L’étoile milanese, musa di coreografi come MacMillan, Petit, Neumeier, McGregor, è stata nominata direttrice del Wiener Staatsballett, tra i più prestigiosi al mondo. Succederà a Martin Schläpfer nel 2025, nel frattempo «lavoro alla mia prima stagione. Non ho esperienze personali che mi legano al corpo di ballo, impressioni, riferimenti. Ma ho subito percepito che questo vuoto mi avrebbe regalato una totale libertà di visione. E sarà un debutto assoluto. Valzer compresi». 
Ferri, 60 anni, si è formata alla Scala. A 15 anni l’arrivo al Royal Ballet. Che cosa ricorda?
«Il mio primo grande spettacolo, Mayerling, salii sul palco tremante, poi il cuore si liberò e capii cosa fosse la danza per me, la chiave per liberare la mia interiorità».
Quindi, il leggendario capitolo all’American Ballet con Baryshnikov e l’incontro con grandi coreografi. È lì che la sua carriera ha preso il volo?
«L’obiettivo non è mai stato il successo. Che mi piaceva e mi piace. Ma portare avanti un percorso, adeguandolo alle diverse fasi della vita. E non fermarlo. Anche quando pensi di non farcela perché il corpo comincia a porti dei limiti».
A sessant’anni qual è il percorso di una danzatrice?
«Fare le cose che mi va. Che non sono quelle di una ventenne. Interpreto donne della mia età, con un vissuto che mi riflette. Virginia Woolf, Eleonora Duse, Winnie. E con loro sento di condividere gli sforzi di tutte, conciliare sogni e limiti, necessità di affrancarsi dai giudizi».
Lei è stata grandiosa in Giselle, Manon, Tatiana, Giulietta: sono storie credibili per il pubblico di oggi?
«Sono gli sviluppi interiori a renderle eterne. Non bisogna soffermarsi sulla traccia narrativa, ma sul cammino emotivo dei personaggi. Danzare è interpretare».
I grandi incontri come hanno illuminato il suo cammino?
«MacMillan mi ha scoperto e mi ha regalato una carriera a 19 anni».
Baryshnikov?
«L’ho incontrato a 21 anni. Lui era un mostro sacro. Io, un mostrino. Mi ha insegnato a servire il talento: siamo a noi a servizio del talento e non il talento a nutrire il nostro ego».
Roland Petit?
«Con lui ho scoperto la teatralità e l’eleganza».
E McGregor?
«Mi ha portato in un altro secolo. Abbiamo uno scambio continuo».
E poi?
«Adesso voglio condividere questo patrimonio. Occuparmi dei ragazzi. A Vienna, uno dei miei primi impegni sarà proprio la ricerca di nuovi talenti».
Ora sta lavorando come coach all’English National Ballet e al Royal Ballet: che cosa desidera trasmettere? 
«Vorrei creare un ambiente amorevole. Questi ragazzi fanno una scelta coraggiosa. Molta della loro infelicità è causata dalla disciplina. Ma è proprio la disciplina a darti forza».
Insegnamento sì, ma continua a danzare?
«Nessun addio. L’ho già fatto, anni fa. E poi sono tornata sui miei passi. A New York a giugno sarò in Woolf Work».
I premi sono stati anche un peso?
«La responsabilità è immensa. Ti può far crollare. Ma un riconoscimento ti regala importanti occasioni di crescita. Io non sono crollata. E le centinaia di scarpette che ho addosso nello spettacolo L’Heure Exquise di Bejart sono un simbolo».
Un percorso lineare?
«Non c’è un percorso giusto. Ma è giusto continuarlo. L’importante è trovare la forza di essere autentici».
Ci è riuscita sempre?
«Io ho sempre affrontato la mia vita. Sono una donna, che balla. E la passione ha illuminato il mio cammino. Anche con i figli».
Com’è per una ballerina avere dei figli?
«Ho cercato sempre di essere me stessa». 
Ha avuto paura qualche volta?
«Ognuno di noi ha paura di qualcosa.

La solitudine? Sono stata molto sola come tutti i miei colleghi. Mi è mancato, dopo il divorzio, qualcuno con cui condividere le emozioni. Ma ho imparato a farlo con me stessa. La sensazione di non avere radici un po’ mi destabilizza. Mi sembra di non appartenere a nessun luogo. Poi però, quando entro in un teatro, le mie radici le trovo lì: è il mio posto del cuore». 

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