Melania uccisa 10 anni fa: il marito in carcere non chiede uscite premio

Melania uccisa 10 anni fa: il marito in carcere non chiede uscite premio
di Teodora Poeta
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Mercoledì 14 Aprile 2021, 10:07

TERAMO - Sono passati dieci anni dall'omicidio della giovane mamma originaria di Somma Vesuviana, Melania Rea, scomparsa il 18 aprile 2011 nel bosco delle Casermette a Ripe di Civitella, il cui cadavere fu ritrovato due giorni dopo.

E ancora oggi, nonostante i tre gradi di giudizio con la condanna in Cassazione a venti anni di reclusione, c'è chi continua a ritenere l'ex caporal maggiore dell'Esercito, Salvatore Parolisi, innocente solo perché si sarebbe trattato di un processo indiziario.

Salvatore, infatti, ha sempre continuato a ribadire di non aver ammazzato sua moglie, pur avendola tradita con l'allieva della sua caserma alla quale aveva promesso di lasciare Melania per lei.


Ma per i giudici è stato Parolisi ad accoltellare per ben 35 volte la giovane mamma 29enne, per poi architettare una messa in scena che depistasse gli investigatori. A far ritrovare il cadavere, 48 ore dopo la denuncia di scomparsa, è stata una telefonata anonima al 113 fatta alle 14.48 da una cabina telefonica di piazzale San Francesco da un uomo di mezza età con spiccato accento teramano, mai identificato nonostante i numerosi appelli delle forze dell'ordine.

Perché? Oggi, così come spiegano da quegli ambienti investigativi che all'epoca si sono occupati del caso quando il fascicolo dalla Procura di Ascoli passò per competenza territoriale a Teramo, «quell'uomo secondo la nostra tesi, avvalorata dalla ricostruzione tecnica, è probabile che non si sia voluto far rintracciare perché ha toccato il cellulare di Melania ed ha avuto paura». Il cellulare è stato ritrovato vicino al cadavere, ma quando Salvatore cercava la moglie, dalle celle telefoniche risultava in un'altra posizione.

Per gli investigatori, infatti, sarebbe stato il telefonista anonimo a ritrovarlo mentre risaliva la stradina dalla sua passeggiata e ad accenderlo. Ma quando, poi, l'uomo, dopo pochi passi, ha visto il cadavere a terra, si è spaventato e ha lasciato il cellulare che ormai aveva toccato.

Domenica, a Somma Vesuviana, non ci sarà nessuna commemorazione pubblica. «A causa della pandemica, la ricorderemo in famiglia» commenta il fratello di Melania, Michele Rea. Sua nipote, ormai, non ha più il cognome del padre.

«Era già da un po' di anni che ce lo chiedeva, ma noi abbiamo voluto temporeggiare per capire se era davvero ciò che voleva racconta Michele -. Adesso ha 11 anni e la decisione l'ha maturata da sola».

Ad oggi Parolisi non ha mai pagato alla famiglia Rea, né a sua figlia, il risarcimento danni quantificato nelle sentenze. Milioni di euro che lui non possiede, certo. Eppure ci sono somme, come spiega l'avvocato di parte civile Mauro Gionni, «che sono state tolte dal suo conto mentre era in carcere».

Ed è proprio nel carcere milanese di Bollate, dov'è detenuto, che Parolisi è considerato un detenuto modello da sempre, si è iscritto a Giurisprudenza, tanto da aver ottenuto dei permessi studio per l'Università, lavora e frequenta altri corsi. Se lo volesse, potrebbe presentare istanza per ottenere permessi premio, ma non lo ha ancora fatto. Ciò nonostante potrebbe, perché le norme glielo consentono, a prescindere da chi lo ritenga colpevole o innocente, in quest'ultimo caso solo perché è stato un processo indiziario come si legge sui social.

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