Spiderman e l’incubo americano

Spiderman e l’incubo americano
di Gloria Satta
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Sabato 30 Agosto 2014, 12:14 - Ultimo aggiornamento: 12:16
VENEZIA - La Mostra applaude le due facce dell’America. In 99 Homes, il durissimo film di Ramin Bahrani sulla crisi, gli sfratti e la corruzione, l’ex Spiderman Andrew Garfield perde la casa perché non è riuscito a pagare il mutuo. «Per capire la realtà di tante famiglie che da un momento all’altro si ritrovano senza tetto, ho vissuto a lungo in un motel», racconta l’attore.



Il maestro Peter Bogdanovich, 75 anni, travolge invece il Lido con la commedia sofisticata She’s funny that way, accolta da risate e ovazioni. «Gli studios ormai fanno solo sequel, prequel e cartoon», esclama il regista di L’ultimo spettacolo. «Ma chi se ne frega di vedere Spiderman volteggiare tra i grattacieli. Il cinema ormai è tutto finto, mentre far ridere il pubblico rimane la gioia più grande di un regista. In molti momenti difficili della mia vita ho scritto una commedia per tirarmi su».



IL DRAMMA

Interpretato anche da un applauditissimo Michael Shannon nel ruolo di uno ”squalo” dell’immobiliare, 99 Homes affronta un problema globale. «Dietro la crisi dei supbrime che ha messo sulla strada migliaia di americani», dice Bahrani, «c’è una corruzione generalizzata. Ho visto appartamenti svuotati in 60 secondi, per fortuna ci sono avvocati che difendono i proprietari sogliati dalle banche... Il mio è un film sociale e nello stesso tempo un gangster-movie e dimostra, alla fine, che un altro mondo è possibile. Solo i giovani potranno salvarlo. A me piace fare questo cinema di emozioni e storie vere: è la risposta all’oscenità dei selfie».



Al Lido Garfield sfoggia la barba che porterà nel nuovo film di Scorsese, Silence, e va in giro con la fidanzata Emma Stone per la gioia dei paparazzi. Racconta, l’attore: «Durante le riprese di 99 Homes ho conosciuto da vicino il mondo degli sfrattati. Volevano condividere il loro dramma e ci hanno aiutati. Il sistema è spietato e coinvolge tutti, anche gli esecutori che non sono mai in cima alla piramide, e pesa anche a loro. I due protagonisti del film agiscono male ma perché devono sopravvivere».



IL PREMIO

È americano anche Frederick Wiseman, il ”regista del reale” (guai a chiamarlo documentarista) che dalle mani di Baratta ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera. Nato a Boston 74 anni fa, Wiseman è autore di oltre 40 premiatissimi documentari. L’ultimo l’ha girato a Jackson Heights, un quartiere del distretto di Queens, a New York. «È un luogo in cui si parlano 160 lingue», ha spiegato il regista, «c’è gente di tutto il mondo. È la nuova generazione di migranti che disegnano il nuovo volto dell'America».

Wiseman si è dedicato al cinema dopo aver abbandonato la facoltà di Legge. I suoi capolavori s’intitolano Titicut Follies, Law and Order, Hospital, Public Housing, Near Death, Domestic Violence, Boxing Gym, At Berkeley. E che effetto gli fa la realtà che con i suoi orrori, dalle guerre alle decapitazioni, ci insegue dovunque attraverso internet? «Sono preoccupato, come qualunque persona di buonsenso. Si può solo tentare di fare del proprio meglio».