Napolitano, storica rielezione d'emergenza
festa e assedio in piazza

Grillo in piazza Ss. Apostoli
di Mario Ajello
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Domenica 21 Aprile 2013, 10:36 - Ultimo aggiornamento: 22 Aprile, 11:40

Non Enea che prende sulle spalle Anchise. Anchise che prende sulle spalle Enea. Un Parlamento bambino, che era stato incapace di

decidere e di fare un nuovo Presidente, chiede a Napolitano - il quale voleva fare il nonno dei suoi nipotini e non di senatori e deputati indecisi a tutto e minacciati dal popolo “indignado” sotto le finestre di Montecitorio - di essere soccorso, protetto, guidato.

Lo supplica e poi lo vota, mentre si infilano attraverso le finestre del Palazzo e rimbombano nel cortile i fischi e le grida «vergogna!» e «Rodotà, Rodotà». Che si spargono anche nel resto della città e in serata fanno ancora più paura quando vengono portate fino al Quirinale e rimbalzano sulle mura dell’istituzione che si pensava inattaccabile.

L’atmosfera che si è vissuta intanto all’interno della Camera è quella del romanzo di un premio Nobel, J.M. Coetzee, «Aspettando i barbari»: perché è in arrivo a Roma Beppe Grillo. Non si sa quando e come si materializzerà in piazza davanti a Montecitorio ma la minaccia dell’apparizione getta scompiglio.

«Forse passerà con l’aereo sopra Montecitorio come Gabriele D’Annunzio - dice Paolo Corsini, deputato bresciano del Pd, ex sindaco e storico di professione - e come il Vate scaricherà un pitale sopra il Parlamento». Per fortuna, no. Ma la paura provocata dall’assedio che comincia dal mattino è un fantasma bipartisan, e dopo il voto per Napolitano celebrato cantando in aula l’Inno di Mameli, nel fuggi fuggi per evitare gli insulti della piazza un gruppo di deputati scappa nascosto dentro un’ambulanza.

Altri non vogliono uscire ma poi escono invece dal retro, come l’ex governatrice laziale Renata Polverini: «Mi hanno chiamato le mie zie da Perugia. Dicono che fuori da qui, l’hanno vista su Sky, c’è una massa inferocita e mi consigliano di restare dentro il Palazzo». I presidenti del Parlamento, Grasso e Boldrini, che pure sono icone del “nuovo” rispetto al tanto contestato “vecchio”, si fanno venire a prendere dalle auto quasi dentro l’uscio secondario di via dell’Impresa, il mini-vicoletto blindatissimo che divide Montecitorio da Palazzo Chigi.

E sono pochi quelli che assumono una posa gladiatoria. Ma qualcuno, in verità, c’è: «Io impaurito dai grillini e dagli altri scalmanati con le bandiere rosse che si aggirano qua davanti? Sono loro che devono avere paura di me», proclama La Russa.

SOMMERSI E SALVATI

Intanto il salvatore della patria è stato trionfalmente votato. Ma che fatica farsi dire di sì alla ricandidatura. «Non mi convinceranno a restare», aveva assicurato Napolitano. Ma neanche lui, parlando così, aveva immaginato la profondità del baratro auto-distruttivo in cui la politica bambina si è infilata prima e durante le votazioni per il Quirinale e da cui si è dimostrata incapace di riemergere.

A meno che non le avesse dato una mano o una spalla Anchise, ossia Giorgio, la cui moglie era ancora più vogliosa di lui di traslocare dal Colle: «Povera signora Napolitano, aveva già fatto i bagagli», è uno dei tweet dell’hashtag #Clio. Non temporeggia troppo Napolitano nel rispondere alle suppliche ma un poco deve pensarci, e stabilire le condizioni dell’assenso, e vanno da lui in pellegrinaggio Berlusconi, Bersani, Monti, i presidenti delle Regioni. C’è anche l’idea, partorita in comune da leghisti e democrat, di far partire da Montecitorio una processione di grandi elettori disposti a inerpicarsi sul Colle, per inginocchiarsi davanti al re taumaturgo, mentre tutti gli altri inquilini del Palazzo somigliano ai loro colleghi i quali, quando si trattò di ottenere il placet alla proroga da parte di Enrico De Nicola, il primo presidente della Repubblica, e quello tentennava, lo imploravano così: «Decida di decidere se accetta di accettare».

Napolitano ha accettato. E parte subito l’ordine, per i commessi del Quirinale, di andare al più preso a palazzo Giustiniani a riprendere gli scatoloni con le carte e con i libri del presidente uscente e rientrante già depositati nello studio che fu di Scalfaro. Nel sollievo generale dei mille assediati di Montecitorio. Per alcuni dei quali, i democrat, la prorogatio significa salvezza (temporanea) del partito, ma poi bisognerà vedere se sapranno sopportare il pressing della base contro le larghe intese che sono la protesi dell’accettazione del bis di Napolitano e a giudicare dal racconto di una deputata campana, Pina Picierno, il travaglio s’annuncia particolarmente doloroso: «Io, come tanti altri colleghi, sono subissata di mail degli elettori che ci vogliono grillini. Gridano: mai inciucio, guai a voi se dialogate con lo psiconano. Ma noi dobbiamo resistere, e non farci imporre le scelte dal web indignato o dalle viscere del Paese». O dai 5 Stelle che, all’ora di pranzo, partono dal cortile di Montecitorio in corteo urlando «No Napolitano», per andarsi a prendere gli applausi della piazza.

Il Pd per ora è tra i salvati, in una delle giornate più difficili nella storia della Repubblica. E il senatore Latorre è il più sincero: «Napolitano andrebbe santificato. Ci ha fatto la grazia». Inaspettata e forse immeritata. I berluscones hanno avuto quello che volevano, si spingono addirittura - è il caso del senatore Francesco Giro - a sottolineare l’omonimia tra Giorgio è Jorge, «Napolitano ha lo stesso nome di Bergoglio», e Berlusconi ha il volto disegnato di gioia, come quando segna il Milan, appena gli dicono che l’elezione sta andando a buon fine ma anche lui, come tanti, dovrà poi lasciare Montecitorio dal garage.

Perchè dentro si è svolto il rito repubblicano e fuori è in corso il rito tribale. In un duello in cui la piazza accusa il Palazzo di essere impegnato in un «golpe» e il Palazzo accusa la piazza di stare attuando un «attentato alle istituzioni». «Sono nazisti», si lascia sfuggire Guido Crosetto. Dario Franceschini lancia l’allarme: «E’ in corso una nuova Marcia su Roma». «Li respingo con un ruggito», minaccia Bossi. Che però, a riprova che non sarà facile il compito di Giorgio, la madonna pellegrina, ha anche un altro avvertimento da lanciare: «Qui hanno fatto cilecca tutti e siamo dovuti andare a piangere da quello lì del Colle. Ma se ci rifila un altro governo alla Monti, no ehhhhhhhh....». Sarebbe invece una manna per i grillini un esecutivo Amato o una cosa così e sembra così larga la loro prateria che la vogliono percorrere in tanti, a cominciare da Vendola travestito da Grillo.

Mentre gli altri, convertiti al realismo, hanno reso possibile la previsione che il nuovo biografo di Napolitano, Pasquale Chessa, autore dell’«Ultimo comunista» appena pubblicato da Chiarelettere, va diffondendo da tempo: «Era naturale che sarebbe andata a finire così - racconta Chessa arrivato ieri alla Camera per godersi l’inizio del bis - perchè quando s’incarta la situazione Napolitano diventa la soluzione. La soluzione del ritorno al professionismo politico che lui, da ultimo comunista, incarna meglio di tutti».

L’APPELLO

Intanto arriva o non arriva Grillo l’assediante? «Qui il clima mi ricorda quello delle radiose giornate di maggio. Paese reale contro Paese legale», dice il senatore azzurro Compagna. Pensando al 1915 e all’anti-parlamentarismo scagliato addosso a Giovanni Giolitti, di cui il presidente Napolitano è un ammiratore. Un collega berlusconiano si è appena affacciato alla finestra e alla folla che grida «bastardi» risponde con lo stesso tono minaccioso rendendo pan per focaccia: «Bastardi!».

Il socialista Nencini prevede: «La vera Marcia su Roma la faranno quando verrà varato il governo di larghe intese». E Pino Pisicchio: «Ciò che mi stupisce è che Rodotà abbia giocato con questa ideologia piazzaiola. Ora vedo che sta un po’ frenando e va bene. Perchè lui conosce il diritto. Grillo, no». Sono le voci degli assediati dall’anti-politica. Anche se storicamente, durante le altre fiammate contro il Palazzo, nel ’92 ad esempio, il match era tra il fuori contro il dentro. Mentre questa volta l’anti-politica è anche all’interno del Parlamento, dove certi democrat e quelli di Sel s’atteggiano a grillini per non farsi travolgere dalla protesta. Perchè l’assedio al Parlamento somiglia soprattutto a un assalto al Pd. E’ stato riconosciuto a tarda sera Franceschini mentre cena in una osteria a via Rasella, viene insultato dai manifestanti, esce sperando di placare gli animi ma poi desiste: «Troppa rabbia».

Poche ore prima, Roberto Fico, dei 5 Stelle, aveva detto al lettiano Boccia: «Avete paura del popolo!». Replica: «Macchè. State incendiando un Paese, vi brucerete anche voi». Come salvarsi? Chi scappa dal retro di Montecitorio, chi vorrebbe essere prelevato da un elicottero come gli americani in fuga da Saigon. E chi, in un colpo di reni che pareva impossibile in tempi di nuove monetine (ieri sono volate all’indirizzo del Palazzo), ha scelto come via della salvezza l’elezione bis di Napolitano. Il quale non s’è mai sognato di atteggiarsi a Cincinnato. Ma lo è dovuto diventare per motivi di forza maggiore: la forza della debolezza spaventosa di tutti gli altri.

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