Giustizia e Farnesina, due ore al Quirinale per sciogliere questi nodi
Napolitano preoccupato per la caratura internazionale dei nomi

Giustizia e Farnesina, due ore al Quirinale per sciogliere questi nodi Napolitano preoccupato per la caratura internazionale dei nomi
di Marco Conti
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Sabato 22 Febbraio 2014, 07:56
Non il governo ”Leopolda”, ma le novit ci sono. Un calo di voce testimonia la fatica delle ultime ore.

Un equilibrio non facile - quello trovato da Matteo Renzi - tra le esigenze della coalizione, quelle interne al Pd, e la voglia di dare anche nella squadra il senso della novità e della «buona amministrazione» tipica dei sindaci che «sono in mezzo alla gente» e, più dei politici nazionali, «avvertono i problemi dei cittadini». Ventiquattrore ”no-stop”, ricche di ”no” e minacciosi ricatti, ma che alla fine permettono al neo premier di tirare un sospiro di sollievo anche per il via libera del Quirinale. Non facile e alla vigilia non scontato.



CASELLE

Infatti Giorgio Napolitano «sottoscrive» il primo governo Renzi anche se incrocia le dita sulla durata, spiegando che non è opportuno mettere la mano sul fuoco che possa arrivare al 2018. La considerazione del Capo dello Stato arriva al termine delle due ore e mezzo di incontro al Quirinale. Il presidente della Repubblica inizia il suo saluto ringraziando Enrico Letta e spiegando che nelle due ore e mezza lui ha fatto anche altre cose mentre il presidente del Consiglio aggiustava le ultime questioni aperte. Un modo per negare ci sia mai stato un braccio di ferro tra Capo dello Stato e presidente incaricato e che il tempo trascorso non è stato utilizzato per cancellare ed aggiungere a seconda dei desideri del Colle, ma solo perché Renzi è arrivato con i compiti non fatti del tutto. Di fatto una presa d’atto che quello che sta nascendo non è un governo del presidente - tanto più se il neo-premier è anche segretario del primo partito - ma dal quale spera arrivino le riforme che il Paese attende. Al Quirinale Renzi arriva dopo le quattro del pomeriggio con Graziano Delrio è in tasca una lista con alcune caselle ”ferme” e altre in fibrillazione. Il vertice notturno con Alfano non ha smosso il quadro. Il Ncd non molla sulle tre poltrone ministeriali sostenendo che hanno già dato con la rinuncia di Quagliariello. «Se io mi gioco la faccia e anche l'osso del collo, voglio decidere io il volto del mio governo», sostiene Renzi con determinazione riuscendo a strappare ad Alfano la carica da vicepremier che non ci sarà nel nuovo esecutivo. Resta il fatto che la resistenza degli alfaniani obbliga il premier incaricato ad aggiustare la strategia e a favorire una rigorosa divisione dei ministeri tenendo conto anche delle aree interne al Pd. Il puzzle resta complicato anche perché Renzi vuole tirar fuori un esecutivo fatto di metà donne. Al Colle Renzi si presenta con nomi certi e con più opzioni per ciascuno dicsatero. A cominciare da quello della Giustizia che balla tra Franceschini e Orlando mentre quello del magistrato Gratteri si era già eclissato. Il nodo si intreccia però con le crescenti tensioni dentro al Pd. A rumoreggiare è la minoranza bersaniana che da subito ha offerto al vento di novità che vuole Renzi, il nome di Maurizio Martina, ex segretario regionale lombardo del Pd. La trattativa si svolge dentro e fuori il Quirinale, con il capogruppo del Pd Roberto Speranza che alla fine trova l’equilibrio giusto con l’altro candidato-ministro, Andrea Orlando. Da buon ed ex responsabile giustizia del Pd Orlando rinuncia a proseguire nel suo lavoro di ministro dell’Ambiente e consente il giro che coinvolge il centrista Galletti (ora ministro dell’Ambiente), il quale spiana la strada a Martina al ministero dell’Agricoltura.



NON HO L’ETA’

Un capitolo a parte è quello relativo al ministero degli Esteri in ultimo affidato alla Mogherini. Renzi vuole cambiare anche lì e non cede ai timori del presidente della Repubblica, preoccupato per la levatura internazionale necessaria. Non è certo la vicenda dei marò a pesare sul curriculum di Emma Bonino. Le sono fatali la caccia al giovane scatenata da Renzi e il fatto di non appartenere a nessuno dei partiti che compongono la maggioranza politica. Nelle vesti del notaio, Napolitano prende atto e, dopo oltre due ore di incontro, sottoscrive e licenza la lista dei ministri mentre Renzi tira un sospiro di sollievo e twitta il poco protocollare «arrivo, arrivo». Oggi il giuramento e il primo consiglio dei ministri che promuoverà Delrio al ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Di fatto il numero due del governo, visto che Alfano non è più vicepremier. Il file Excel con il programma resta invariato. Compreso il timing sulle riforme e la legge elettorale che Renzi vuol far approvare alla Camera entro la primavera. La nomina di una settantina di viceministri e sottosegretari completerà il puzzle e consentirà a Renzi di chiudere la fase delle trattative con gli alleati. Subito dopo riprenderà la corsa dell’ex sindaco di Firenze che intende dividersi tra i consigli dei ministri e un tour delle città italiane. D’altra parte nasce il governo dei sindaci con un esecutivo che raccoglie un bel po’ di ex amministratori locali. Altri Renzi li incontrerà sulle cento piazze italiane che calcherà sempre più spesso per spiegare ciò che il governo fa e la burocrazia, parlamentare e ministeriale, frena. «Perchè io, ci metto la faccia», ha ripetuto ieri nel corridoio del Quirinale scambiato forse per un’altra Leopolda.
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