Noi e l'Islam/ La grandezza della civiltà del dubbio

di Francesco Ruffini
3 Minuti di Lettura
Sabato 21 Novembre 2015, 14:07 - Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 23:48
Nel settembre del 2000 fece scalpore una “esternazione” del cardinale Giacomo Biffi che, ai governi europei, suggeriva di «privilegiare l’ingresso degli immigrati cristiani» dato che quelli provenienti dall’Islam «nella stragrande maggioranza vengono risoluti a restare estranei alla nostra umanità, individuale e associata».



L’intervento ebbe diritto a ben 5 anni di strascichi giudiziari prima che i nostri magistrati trovassero tempo per dichiarare che il porporato nell’esprimere il suo pensiero «non aveva fatto altro che esercitare libertà costituzionalmente garantite». Nel mentre fu lasciata marcire nelle more del “nulla di fatto” senza una risposta chiara, la denuncia che egli subì da parte di un’organizzazione islamica per non aver ottemperato alla loro ingiunzione di rimuovere alcuni affreschi del XIV secolo della Basilica di San Petronio, ispirati a Dante e raffiguranti Maometto (considerato dai suoi contemporanei un “eresiarca” cristiano) all’inferno, nudo e tormentato dai diavoli. Intanto, nelle nostre scuole e nei nostri spazi pubblici, dei pavidi (se non confusi) nostri concittadini ottemperavano (anticipandole, addirittura) ad ingiunzioni simili a quella citata. Per interpretare le parole del cardinale, forse va chiarito che un immigrato musulmano “moderato”, posto che nella realtà storica contemporanea esista, ci arriva forte di almeno due convincimenti.





Il primo gli assicura di appartenere alla «migliore società» possibile, a quella “umma” progetto originario di “comunità umana”, voluta dal Creatore e che solo la cattiveria degli uni (ebrei, incorsi nell’ira di Dio) e la menzogna degli altri (cristiani, ingannati da un Cristo nient’altro che “precursore” di Maometto) hanno infranto. Di conseguenza, questo l’altro suo intimo convincimento, arriva da noi certo di non aver nulla da apprendere né su Dio né sulla persona umana. Non a caso, nella letteratura socio-politica degli ultimi settant’anni abbondano motivazioni che, da una “conferenza internazionale” all’altra, gli stati a maggioranza islamica hanno portato come giustificazione al loro rifiuto di firmare le grandi “carte” dell’ordinamento internazionale.



Quella di Parigi ad esempio, la «Déclaration universelle des droits de l’homme» del 1948, venne allora (e lo è tutt’ora) rifiutata poiché secondo i paesi islamici era nata con un peccato originale chiamato «visione giudeo-cristiana» dell’uomo e della società. E fino ad oggi, salvo qualche timido “annuncio”, il punto più alto espresso dal pensiero islamico nel campo della libertà di coscienza resta quello contenuto nella “carta di Londra dei diritti umani islamici”, in cui il primo e fondamentale “diritto umano” del nostro sistema socio-politico, quello che fonda lo stato democratico moderno, è riassunto nella massima: «Ogni persona deve essere lasciata libera di poter diventare musulmana».



Ma per tornare al 2000, fu durante una delle indimenticabili «cattedre dei non credenti», che il cardinale Carlo Maria Martini spiegò che se lo stato moderno garantisce libertà tutelate, istruzione, salute, interventi solidaristici (“diritti” che tutti chiediamo) è perché prima di ogni rivendicazione ci siamo assunti fondamentali e indiscutibili doveri: il rispetto delle leggi, il peso della fiscalità, la responsabilità di scegliere il corpo legislativo, la difesa dello stato democratico, la partecipazione politica e ulteriori “pesi” condivisi. In altre parole, se in Italia e in Europa non si usa violenza per esercitare i propri diritti è perché non si può ricorrere alle minacce per sentirsi esentati dai doveri imposti dal nostro patto costituzionale, dalla nostra res-publica.



Questo il motivo per cui vogliamo discutere sempre e su tutto, perché dalle nostre differenze pensiamo che ognuno abbia più di qualcosa da apprendere anche su Dio e, soprattutto, sulla persona umana.
Considerarlo impossibile per non provare il terrore vissuto dalle vittime di Parigi qualche giorno fa, è un prezzo che proprio non dobbiamo pagare.