Giustizia, il giurista Fiandaca: «Le carriere separate? La democrazia non è a rischio»

«È sbagliato parlare di crisi costituzionale, il problema è solo politico»

WCENTER 0INTBJAEGZ - - WEB - GIOVANNI FIANDACA -
di Francesco Malfetano
5 Minuti di Lettura
Sabato 11 Maggio 2024, 07:46

«La separazione delle carriere non è un attacco alla democrazia. Anche gli oppositori farebbero bene a non demonizzarla. Un discorso tra sordi tra magistratura e ceto politico dominante sarebbe il ripetersi di una nevrosi-politico istituzionale esiziale per il nostro Paese». Per il giurista Giovanni Fiandaca, emerito di Diritto penale all'Università di Palermo ea lungo garante dei protetti della Regione Sicilia, parlare di «crisi democratica» affiancando alla riforma della Giustizia quella dell'Autonomia differenziata e del Premierato, è «un'analisi sbagliata ». E quindi proprio mentre a Palermo sta per iniziare il 36esimo congresso dell'Associazione nazionale magistrati («Sarei dovuto andare, solo che ho temuto di potermi annoiare e alla fine ho rinunciato») dice: «Gridare che la casa brucia rappresenta un errore perché parte da un'analisi che è sbagliata. La questione non è costituzionale ma politica».

Professor Fiandaca, dopo una settimana a dir poco complicata oggi il ministro Carlo Nordio sarà a Palermo per il congresso dell’Anm. Un segnale distensivo?
«A me pare che il fatto stesso che il ministro Nordio si sia alla fine pentito di non partecipare, dimostrando anche il coraggio di farsi contestare, sia un modo per tendere la mano. Non posso che augurarmi che venga colta. Da tempo vanno avanti polemiche di livello non elevato tra politica e magistratura, se si riuscisse a sviluppare una discussione maggiormente pluralistica sul ruolo del magistrato nella realtà attuale, magari coinvolgendo l’intera società civile - e pure voi giornalisti mai così attenti all’approfondimento - sarebbe auspicabile».

Eppure quella della separazione delle carriere dei magistrati - ammesso che possa realmente andare in porto - si annuncia come una sorta di voragine.
«Nei giorni scorsi ho letto sulla Stampa un articolo di Donatella Di Stasio in cui gli avvocati democratici venivano chiamati a ribellarsi alla riforma della separazione delle carriere associandola a ad autonomia e premierato, come se fossero tre pezzi di un disegno politico unitario con il fine ultimo di attaccare la democrazia. Fintanto che l'approccio dall'area progressista - in cui anche io mi colloco - sarà questo, si fomenteranno sempre conflittualità e confusione. Io non credo vi sia un pericolo per la democrazia, piuttosto ci troviamo di fronte ad una cosa diversa che è il fenomeno della torsione illiberale della democrazia. Parliamo cioè del ritorno di aspetti autoritari per cui non mi riferisco solo all’Italia. Ad essere in crisi più che la democrazia è cioè il modello liberale. Non c'è questione costituzionale di crisi della democrazia esiste secondo diversi modelli, qui siamo di fronte ad una crisi del modello liberale. Vale a dire che oggi, chi si oppone, dovrebbe puntare a contrastare un'involuzione illiberale della democrazia. Se le cose si mettessero in questi termini l’approccio sarebbe più costruttivo perché potrebbero fare un sforzo e dialogare per migliorare la riforma o per dimostrarne l’invalidità».

In molti però continuano a vedere nella separazione delle carriere un punto di non ritorno.
«Quel modello ordinamentale, come ogni altro modello, ha pro e contro.

Certo è tendenzialmente maggioritario ma ciò non comporta di per sé come destino ineluttabile la sottoposizione della magistratura d'accusa al controllo dell'esecutivo. Anzi, in linea teorica la separazione delle carriere (in cui credono molto gli avvocati democratici) potrebbe potenzialmente sortire l'effetto positivo di rafforzare la terzietà del giudice. Semmai a preoccuparmi, più del controllo politico sulla magistratura, è il fatto che come effetto negativo potrebbe rendere i pm ancora più dei superpoliziotti spericolati. Intendo cioè che, attraverso il dialogo, la riforma va ben disciplinata».

E cosa suggerisce?
«Da vecchio studioso le dico che non è decisivo il modello ordinamentale di disciplina della magistratura, mentre lo è la cultura giudiziaria che gli fa da sfondo. Ho conosciuto e conosco non pochi giudici che posseggono una mentalità accusatoria, analoga a quella di pm. Il problema è di formazione professionale, e di cultura. Per cui ritengo che la formazione professionale dei magistrati non dovrebbe più essere esclusiva della magistratura, ma dovrebbe essere spartita in parti equivalenti tra magistratura, avvocatura ed università. L'obiettivo è mettere più in equilibrio il momento della lotta al crimine, la finalità della difesa della società, con il rispetto dei principi del costituzionalismo penale e le garanzie individuali. Questo obiettivo potrebbe essere meglio perseguito, piuttosto che limitandosi a separare le carriere, rivedendo formazione e canali di accesso. Sottraendo, appunto, questo monopolio».

Quella dei concorsi diversi è una delle prerogative della riforma. Non basta?
«Ne faccio un problema più strutturale. È un tema culturale che riguarda tutti».

Ci sarebbe pure l’istituzione di un’Alta corte.
«Personalmente sono d’accordo con l’originale proposta i Violante. Io dal ‘94 al ‘98 sono stato componente del Csm, e anche se non ero nella sezione disciplinare avevo un osservatorio privilegiato. E ho avuto talvolta l'impressione che anche nella gestione dell'attività disciplinare potesse esserci una logica di scambio. Per cui affidare a soggetti esterni rispetto al Consiglio potrebbe garantire maggiore imparzialità e maggiore rigore. Il problema è la scelta e il metodo, il tipo di componenti a cui attribuire il ruolo di giudici disciplinari. Dovrebbero essere persone terze di competenza tecnica elevata, di specchiata moralità e dovrebbero anche esser soggetti che hanno dato prova di un certo livello di indipendenza a centri politici e di potere. Non è semplice».

La riforma ancora non è stata presentata in cdm e lei già pensa alla prossima?
«Sarebbe un beneficio per tutti. Ma tanto non so se neppure se Nordio riuscirà veramente a portare fino in fondo la separazione delle carriere».

Cosa intende?
«Dipende dalle modalità reattive della magistratura. Se dovessero emergere nell'immediato futuro tanti “casi Toti”, reali però non supposti o inventati, in un periodo di prospettive di riemersione di seconda tangentopoli potrebbero frapporsi diverse criticità oggettive tra la riforma e la sua realizzazione».

È una profezia?

«No, solo fanta-politica».

© RIPRODUZIONE RISERVATA