Macerata, L'infinito è un facsimile
Il conte Vanni: «L’ho sempre sospettato»

Il conte Vanni esamina il terzo manoscritto con la prof Melosi (foto Gentili)
di Alessandra Bruno
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Venerdì 25 Luglio 2014, 09:55 - Ultimo aggiornamento: 14:04
MACERATA - L'ho sempre sospettato, la copia non mi ha mai convinto. Prima di annunciare una notizia del genere, sarebbe stato necessario un anno di studio.

La pensa così il conte Vanni Leopardi, discendente del poeta, da sempre critico sull’autenticità della terza copia dell’Infinito.



«La fretta ha dato adito a confusione. Già un confronto tra le parti interessate avrebbe evitato di arrivare a questo punto. Se mi avessero consegnato una copia dell’Amleto di Shakespeare prima dire che era autentico avrei verificato con cura. In passato, non essendoci fotocopiatrici, si usava fare copie, ma secondo me si sono fatti trascinare dall’entusiasmo - prosegue il conte Vanni - Non pensavo ci fosse la volontà di imbrogliare. Mi dispiace solo per la professoressa Melosi, che mi è sempre sembrata corretta e appassionata».



E’ un duro colpo l’inchiesta sul facsimile del terzo «Infinito» di Leopardi. Il testo della celebre poesia era scritto nello specchio della piegatura di una lettera, indirizzata al priore di Santa Vittoria, nel piccolo Comune fermano di Montefalco, oggi Montefalcone Appennino. Sul retro della busta le parole di quell'idillio, capace di far palpitare gli animi a quasi duecento anni dalla sua composizione. Ma la copia sarebbe un falso. Messo all'asta, lo scorso 26 giugno, come terzo autografo della lirica più famosa del poeta di Recanati, il manoscritto in questione è stato ritirato e sequestrato dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico, guidati dal capitano Salvatore Strocchia, mentre si trovava ancora nella casa d'aste Minerva Auctions di Roma.





La scoperta della copia era stata fatta circa 4 mesi fa dal direttore della biblioteca di Cingoli, Luca Pernici, che si è trovato tra le mani un ipotetico gioiello, proveniente dal collezionista privato Luciano Innocenzi, professore cingolano in pensione. Il manoscritto era arrivato al professore dalla carte provenienti dal disperso archivio dei conti Servanzi-Collio di San Severino.



Ora i due, Pernici (diventato nel frattempo comproprietario del manoscritto) e Innocenzi, sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Macerata. L' ipotesi di reato è quella di commercialiazzazione di opere contraffatte (articolo 178 del codice dei beni culturali). I sospetti sono nati proprio dalla repentinità con cui il manoscritto è stato messo all'asta per un valore di base di 150mila euro.



Poi una funzionaria della Soprintendenza del Lazio, che ha visionato la copia proprio nella sede dell'asta, ha certificato la non autenticità. La perizia rileva come «il testo trovato a Cingoli sia una copia perfetta del manoscritto di Napoli, uguali spazi tra le parole, uguale altezza delle lettere, identici caratteri per misure e dimensioni». Una somiglianza «altamente improbabile». La copia era stata presentata ufficialmente nel corso di un convegno organizzato dall'Università di Macerata il 18 giugno.



Due i filoni d'indagine. Uno sui due cingolani, l’altro, spiega il procuratore Giorgio, «riguarda chi ha certificato l'autenticità del manoscritto, pur sapendolo falso, persone ancora da identificare». A breve saranno ascoltati la professoressa Laura Melosi e l'autore dell'esame grafico, il professor Marcello Andria.