Emergenza natalità ultima chiamata ora servire concretezza

Gli Stati generali a Roma: lo squilibrio demografico minaccia l’economia

Emergenza natalità ultima chiamata ora servire concretezza
di Luca Cifoni
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Mercoledì 8 Maggio 2024, 17:03 - Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 07:40

Un obiettivo ardito, ma non irragionevole: riportare le nascite in Italia a quota 500mila l'anno, nell'arco di un decennio.

Lo aveva fissato l'allora presidente dell'Istat Gian Carlo Blangiardo intervenendo alla prima edizione degli Stati generali della natalità, nel 2021. Quando Blangiardo aveva illustrato quell'ambiziosa tabella di marcia, il numero dei neonati era ancora di un soffio al di sopra dei 400mila . Ad oggi, giorno in cui si apre la quarta edizione dell'appuntamento organizzato dalla Fondazione per la natalità presieduta da Gigi de Palo , non solo non sono stati fatti passi avanti ma siamo scesi ancora più in basso, ai 379mila bambini stimati provvisoriamente per lo scorso anno. E nei primi due mesi del 2024 si registra un ulteriore calo. Nonostante questo andamento decisamente sconfortante, il traguardo del mezzo milione verrà confermato per il 2033 e riproposto ai numerosi rappresentanti della politica che parteciperanno all'evento (a cui è atteso anche Papa Francesc o ).


IL DOSSIER


Tra gli interlocutori più interessati c’è di sicuro il ministro dell’Economia Giorgetti, il quale più volte in tempi recenti ha collegato le attuali tendenze demografiche agli equilibri di previdenza e lavoro nei prossimi decenni. Che la denatalità sia una minaccia per il nostro futuro sociale ed economico è ormai un dato acquisito: per convincersene basta dare un’occhiata ai numeri del dossier elaborato per gli Stati generali, in collaborazione proprio con l’Istat. Se nel 1951 c’erano 31 italiani di 65 anni e più ogni 100 ragazzi (0-14 anni) oggi gli anziani sono 200 contro 100 e nel 2050, secondo le proiezioni, il rapporto sarà ancora più sbilanciato: oltre 300 a 100.
Una società in cui i giovani sono una minoranza è una società triste, incapace di innovare e guardare avanti. Più banalmente, è una società che ha difficoltà a generare crescita economica. Se già oggi le imprese e anche i datori di lavoro pubblici fanno fatica a trovare le figure professionali di cui hanno bisogno, tra 20-25 anni – in assenza di novità – l’esiguità numerica dei potenziali lavoratori sarà molto più vistosa. E condizionerà il funzionamento del sistema produttivo, come pure quello dello Stato sociale.
C’è qualche speranza di invertire la tendenza? Il caso italiano sembrerebbe disperato, ma l’intero scenario europeo negli ultimi tempi appare poco consolante. Sulla natalità lo scorso anno sono arretrate anche Francia e Germania: nel Paese transalpino il numero medio di figli per donna è sceso a 1,68, ovvero ai livelli più bassi nel dopoguerra. Visto dal misero 1,2 di casa nostra è una specie di miraggio, in assoluto si tratta però di un valore lontano da quel 2,1 necessario a garantire che una popolazione si mantenga costante.
Più ancora degli altri, noi dobbiamo poi fare i conti con un fattore statistico avverso e quasi implacabile: la progressiva riduzione della popolazione tra i 15 e i 49 anni, ovvero dei potenziali genitori. Se la società italiana nel suo insieme (non solo la politica) deciderà che nonostante tutto vale la pena di tentare questa impresa, dovrà fare allora un bagno di concretezza. Le ultime leggi di Bilancio hanno dedicato varie misure al capitolo famiglia, a volte in modo improvvisato e mobilitando una quantità di risorse finanziarie non trascurabile ma in ogni caso limitata. Per fare un passo avanti, pur sapendo che l’elemento economico non è l’unico a guidare le scelte delle coppie, è inevitabile infrangere qualche tabù. 
In un quadro di finanzapubblica pesantemente vincolato come il nostro, convogliare fondi davvero rilevanti sulla natalità, possibilmente concentrandoli sugli strumenti già esistenti a partire dall'assegno unico, vuol dire per forza di cose sottrarli ad altri capitoli. Per dare di più ai genitori di oggi e di domani, bisognerà togliere qualcosa ai restanti contribuenti. Accettare l'idea che non è uno scandalo premiare chi si fa carico di contribuire al futuro di tutti mettendo al mondo bambini. Questo non significa dare patenti di moralità (la libertà di uomini e donne di fare le proprie scelte di vita compresa quella di non avere figli è fondamentale e fuori discussione) ma semplicemente prendere atto della realtà.
Altrettanto pragmatismo servirà per affrontare altri aspetti, dal rapporto tra tempi di vita e di lavoro (nel quale il ruolo delle imprese è decisivo) alla precarietà lavorativa che condiziona le decisioni dei giovani, in un Paese con retribuzioni stagnanti ormai da un trentennio: non certo le condizioni migliori per fare il passo di mettere su famiglia. 
Infine c'è il tema dell'immigrazione, delicato ma ineludibile. Nei giorni scorsi l'Ocse ha segnalato come i crescenti flussi di manodopera abbiano spinto l'economia in alcuni Paesi ricchi, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna fino alla Spagna. L'immigrazione, se governata con lungimiranza e al di fuori delle logiche emergenziali, ha una doppia potenzialità. Oltre ad aiutare a superare le criticità del mercato del lavoro , può spingere la natalità in un orizzonte temporale relativamente breve: la popolazione straniera è più giovane e mediamente più incline a procreare. E anche se nel tempo tende ad allinearsi ai comportamenti dei residenti con passaporto italiano, nell'immediato aiuta a risolvere i tassi di natalità, come è successo in Italia nel primo decennio di questo secolo.

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