Ovviamente, più è alto il livello, più sono alti gli interessi che si muovono intorno. Ma anche a livello dilettantistico questa è una logica che sta prendendo piede. Anzi, che ha preso piede. Perché ormai, le squadre vengono costruite con una logica cosiddetta "imprenditoriale", che consente a chi ha più disponibilità economica (intesa anche come reperibilità di risorse) di poter entrare a far parte del mondo del calcio, come dirigente o anche come allenatore. Senza considerare le competenze tecniche e i valori umani, che dovrebbero creare la mitica meritocrazia.
Basta rispondere a tre semplici domande, per capire di cosa sto parlando. Chi non è a conoscenza di genitori disposti a investire dei soldi per dare al proprio figlio maggiori possibilità? Chi non è a conoscenza di allenatori che contribuiscono al budget della società? E chi non è a conoscenza di organizzazioni che si fanno pagare per mettere su dei provini? Se poi ci mettiamo dentro scuole calcio, centri estivi, procuratori e via dicendo, le domande salirebbero a molte di più.
Insomma ogni componente cerca il proprio tornaconto economico, provando a guadagnare con i dilettanti o i giovani, senza pensare (o facendolo solo in minima parte) all'aspetto sociale. E trovare qualcuno disposto a interrompere questo circuito vizioso, è sempre più difficile. A tanti sembra ormai una battaglia persa in partenza, e da qui si arriva al pronunciare la frase "il calcio è finito", additando sempre altri come colpevoli, ergendosi a paladini della propria categoria; salvo, poi, alla prima occasione, sfruttare per primi la situazione, se ne hanno un tornaconto.
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