Salemme: «Recitiamo per essere come la gente ci vuole»

Domani su Rai Due la commedia «Napoletano? E famme na pizza»

Vincenzo Salemme sul palco
di Luciano Giannini
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Domenica 16 Aprile 2023, 09:14 - Ultimo aggiornamento: 16:27

Duecentomila spettatori e 180 repliche in 25 città nell'arco di due stagioni. Con questi numeri «Napoletano? E famme na pizza», di e con Vincenzo Salemme, ha conquistato il diritto al passaggio televisivo - e in diretta - domani in prima serata su Raidue. Come le altre sue tre commedie già proposte sulla stessa rete, lo spettacolo andrà in onda dall'Auditorium Scarlatti con il contributo cruciale del Centro di produzione Rai di Napoli; e la presenza di un folto pubblico in sala non potrà che rendere più teatrale un evento per sua natura spurio, perché interseca un'arte antica con un medium moderno. In scena, con l'autore, protagonista e regista di Bacoli, ci saranno Vincenzo Borrino, Sergio D'Auria, Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero e Fernanda Pinto. La regia televisiva è di Barbara Napolitano.

Salemme, «Napoletano? E famme na pizza» arriva in tv dopo i riusciti esperimenti di «Di mamma ce n'è una sola», «Sogni e bisogni» e «Una festa esagerata»...
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Che ha ottenuto oltre il 10 per cento di share, mentre le altre due hanno sfiorato l'8%. L'esperimento è senza dubbio riuscito».

Come si propone il teatro in tv?
«Tenendo conto che dall'altra parte ci sono gli spettatori in sala, le telecamere e un pubblico molto più ampio. Le difficoltà maggiori dipendono dalla diretta. Gli attori non possono sbagliare, hanno più adrenalina, anche se...».

Anche se?
«Dopo un po' si dimentica tutto, si recita e basta. Molto dipende dalla regia tv, che ha il compito di comunicare le stesse emozioni percepite dagli spettatori presenti. La gente a casa non deve accorgersi di essere davanti a uno schermo; ma a questo pensa Barbara Napolitano, regista esperta ed eccellente. D'altra parte, il teatro in televisione si può fare soltanto in diretta che, poi, è l'essenza stessa di quest'arte. Il matrimonio mi sembra riuscito».

L'idea dello spettacolo nacque come reazione alla pandemia?
«Fu un modo per ricominciare. Le sale furono chiuse durante le repliche, al Diana, di "Con tutto il cuore". In passato avevo già proposto un'antologia di tre mie commedie in "Faccio a pezzi il teatro". Lo stesso ho fatto stavolta, prendendo il meglio di "Con tutto il cuore" e "Una festa esagerata" e collegandole con alcune riflessioni del mio libro, di cui questo spettacolo porta il titolo».

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Riflessioni sulla differenza che c'è tra essere napoletano e fare il napoletano?
«Spesso ci sentiamo costretti a recitare la parte perché è ciò che la gente si aspetta da noi, assieme al corollario dei luoghi comuni: simpatia, allegria, capacità di arrangiarsi, pizza, mandolino, canzoni, il caffè bollente, la scaramanzia... Io, per esempio, sono puntualissimo. Quando arrivo in orario c'è chi commenta: "sei puntuale, strano per un napoletano". Ma perché strano, scusate?».

Qual è il segreto di questo suo successo?
«Le risate. Si ride assai. E la risata è una garanzia, al Sud come al Nord, dove il pubblico conosce il napoletano nelle gamma delle sue sfaccettature e gli mostra simpatia. D'altra parte, noi napoletani stiamo dappertutto. In quasi tutte le famiglie o c'è un parente o un antenato napoletani».

L'anno scorso in una intervista al «Mattino» dichiarò: «Ho scritto due testi. Uno tratta di responsabilità nei confronti della propria coscienza; l'altro, della vecchiaia di un attore». A che punto siamo?
«Non farò nessuno dei due, almeno per il momento. Anticipo una sola notizia: sto scrivendo una raccolta di pensieri. Mi serviranno per la sceneggiatura di un documentario che ho intenzione di girare su una nuova commedia, in programma nella prossima stagione».

Ma a fine aprile sarà di nuovo sul set, a Roma, diretto dal napoletano Gianluca Ansanelli.
«Sì, e il film s'intitola "Jerry e Tom", due nonni che si contendono le simpatie dei nipotini».

L'altro nonno?
«Max Tortora. Nel cast c'è anche Bianca Guaccero».

Infine, il calcio. Lei non parla del Napoli per scaramanzia. Ma perché i napoletani sono scaramantici?
«Mah... forse, per le troppe ferite subite o auto-inflitte, ci difendiamo affidandoci alla sorte, anche se, secondo me, non esistono né quella buona né quella maligna. C'è soltanto la realtà! E, poi, a me non piace parlare del Napoli prima che abbia vinto. Dopo, sì, però».

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