Venezia, Roan Johnson divide con Piuma: se la prevedibilità non fa commedia

Venezia, Roan Johnson divide con Piuma: se la prevedibilità non fa commedia
di Fabio Ferzetti
2 Minuti di Lettura
Martedì 6 Settembre 2016, 08:44
dal nostro inviato
VENEZIA
Leggero, leggerissimo, quasi evanescente. Divertente, molto divertente, forse troppo divertente. Al terzo film dopo i sottovalutati I primi della lista e Fino a qui tutto bene, Roan Johnson entra in quella comfort zone che è sempre rischiosa per un regista. Perfettamente padrone dei propri mezzi, sa benissimo cosa vuole e come ottenerlo. Così rischia di avere troppe risposte pronte e dimenticarsi qualche domanda, di quelle che allo spettatore non arrivano ma danno al film radici e profondità.
Sono domande di sceneggiatura più che di regia. Chi è quel personaggio, perché parla e pensa così, dove vive, cosa vuole, cosa sogna, cosa non sa nemmeno lui di volere, etc. Se le domande chiave vengono affrontate a dovere, il film si può concedere le più strepitose inverosimiglianze. Al cinema vogliamo stupirci, non riconoscere qualcosa che sapevamo. Altrimenti la piacevolezza prenderà il sopravvento e la verità finirà sotto il tavolo. Rendendo la piacevolezza molto meno interessante.
Piuma funziona così fin dalla prima scena. Ci sono Ferro e Cate, due ragazzini alle prese con una gravidanza, i loro compagni di scuola, i genitori discordi di lui e il padre sciagurato di lei, un nonno svanito, una cugina fisioterapista pasticciona, eccetera.

SNODI
Oro puro per Johnson e i suoi sceneggiatori, che risolvono tutti gli snodi chiave della storia, distribuita sui 9 mesi della gravidanza, in un modo solo o quasi. Dialoghi, dialoghi, dialoghi. Con momenti irresistibili, come no (esilarante il dialogo tra sordi in cui Ferro confessa al padre in slang adolescenziale di averla fatta grossa); sviluppi imprevedibili (quella gravidanza prematura rischia di far divorziare i genitori di Ferro); scene rivelatrici (là fuori ci sono solo precarietà e indifferenza).
Eppure troppo spesso sembra di vedere una collezione dei momenti più deboli dei film di Virzì o della Archibugi. In fondo Piuma è un piccolo romanzo di formazione, come lo era a suo tempo il più complesso Ovosodo. Ma scegliendo di restare sempre esterno ai suoi personaggi, senza mai adottare il punto di vista di nessuno di loro (con un'eccezione: la scena, molto bella, in cui nuotano sopra la città), Piuma resta piacevole e un po' inoffensivo. Un po' come il disastroso padre di Cate, che per lanciare un messaggio d'aiuto tenta un teatrale suicidio trangugiando ammorbidente anziché candeggina. Ecco, I primi della lista e Fino a qui tutto bene erano divertenti ma non contenevano ammorbidente. Non ce n'era bisogno.