Omicidio Sara Campanella, i segnali che potevano salvarla. La psicologa forense: «C'è bisogno di qualcuno che dia una mano»

"Sono sempre eclatanti questi femminicidi, perché accumulano i killer 'polvere da sparo' finché poi non esplodono", spiega la criminologa Gabriella Marano

Omicidio Sara Campanella, i segnali che potevano salvarla. La psicologa forense: «C'è bisogno di qualcuno che dia una mano»
di Alessandro Rosi
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martedì 1 aprile 2025, 14:10 - Ultimo aggiornamento: 3 aprile, 20:18

«Non accettano l'abbandono e che gli altri continuino a farsi una vita senza di loro». Questo il fattore scatenante del femminicidio di Sara Campanellala studentessa di Messina, secondo la criminologa Gabriella Marano. La giovane 22enne riceveva attenzioni da un altro iscritto all'Università, Stefano Argentino. Il ragazzo cercava di conquistare il suo interesse con comportamenti molesti, secondo quanto indicato dal comandante dei carabinieri di Messina, Lucio Arcidiacono, in conferenza stampa. La vittima "non si era accorta del vero pericolo che correva". Aveva condiviso con le compagne di corso il fastidio per queste attenzioni che si andavano ripetendo nel tempo, da circa un paio d'anni, da quando era iniziato il corso per tecnico di laboratorio biomedico. Ma non c'era però stata alcuna denuncia da parte della ragazza.

La criminologa Gabriella Marano

Perché l'amore non corrisposto può scatenare una reazione così violenta?

Sono individui che non accettano i no, le retromarce, gli abbandoni. Probabilmente perché è l'ennesimo e gliene rievoca precedenti.

Quindi reagisce punendo e non accettando che la donna decida di non rispondere più a quelle che sono le sue richieste e aspettative. Non accetta l'atto di "insubordinazione".

Ci sono analogie con Filippo Turetta?

Sì. C'è un leitmotiv che ritroviamo sempre. Filippo Turetta, in aula, alla domanda dell'avvocato perché ha ucciso Giulia risponde: "Perché lei non voleva più stare con me". Il ragionamento è: se soffro io, devi soffrire tu. Stessa cosa nell'omicidio Matteuzzi. Pensano: "Mi faccio pure la galera, ma tu devi morire". Non accettano l'abbandono e che queste persone continuino a farsi una vita senza di loro.

Stefano Argentino

Cosa rischia oltre la condanna?

Molto spesso viene anche contestata anche l'aggravante del motivo abietto e futile. Perché è turpe, è un motivo che non regge su nulla.

La studentessa Sara Campanella

Che tipo di personalità ha un killer del genere? 

Maggiore incidenza nel gruppo B dei disturbi di personalità, classificati dal nostro DSM con il disturbo di tipo narcisistico, antisociale, istrionico e borderline. Ma non possiamo fare una diagnosi su due piedi.

Sicuramente siamo di fronte a soggetti con una personalità disfunzionale, con una personalità immatura che può avere sicuramente una matrice narcisistica e che mancano di empatia. Il loro più grande deficit è la mancanza di empatia, cioè non riescono a mettersi nei panni dell'altro, non riescono a capire la sofferenza dell'altro.

 

Qual è la "miccia" che li trasforma in killer?

Sono sempre eclatanti questi femminicidi, perché accumulano i killer "polvere da sparo" finché poi non esplodono. Il femminicidio di Sara di Pietrantonio ce lo ricordiamo perché ci fa capire bene come si muovono questi soggetti. Non solo la strangola, ma poi dopo le dà fuoco dopo averla uccisa. Quindi il fuoco non è stato utile a cagionare la morte. Perché lo fa? Vuole cancellare proprio la sua identità, in un vero e proprio atto di deumanizzazione, cioè di negazione dell'identità di quell'individuo.

Segnali?

Anche se non c'è violenza fisica, se anche non c'è violenza espressa, evidente, cioè se non lascia segni, ferite, lacerazioni, non significa che non sei a rischio. Bisogna avere una nuova consapevolezza. Tra i segnali: "Mandami la posizione", "dimmi dove sei", "dimmi con chi sei". Il voler sapere tutto della vita dell'altro, la limitazione della libertà in nome di una gelosia che non è gelosia nasconde sicuramente dei forti segnali di rischio. Quindi è importante saperli riconoscere.

Quando denunciare?

Bisognerebbe farlo subito. Il problema è che queste donne non hanno la forza di denunciare. Vittimizzate, piano piano entrano in uno stato di inquietudine che genera solo confusione e disorientamento. Fino ad arrivare a portarle a perdere anche il vero punto di vista. Iniziano a sotto valutare e a minimizzare. Non soltanto la violenza psicologica, ma anche quella fisica.

A chi chiedere aiuto?

C'è bisogno di qualcuno che dia una mano. Nuove consapevolezze non solo per le vittime, ma anche per tutti noi. Dobbiamo sapere individuare quando la nostra amica, la nostra cugina, una nostra zia, una nostra parente è in pericolo. Perché sicuramente vanno aiutate queste persone. Perché iniziano a colpevolizzarsi e molto spesso perdono proprio la propria identità. Non sanno più chi sono. Escono sfibrate come canne al vento. Vanno aiutate a denunciare perché dopo tanti anni di vittimizzazione spesso non hanno più la forza di reagire.

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